Storia piccola di una radio

Il carattere intrinsecamente volatile della radio fa di lei un ibrido tra i mezzi di comunicazione, non si affida alla rilettura come il foglio di giornale né al nitore dell’immagine propria della televisione per farsi comprendere ma la sua pura voce concede a chi l’ascolta il potere unico di avvertire e immaginare il mondo invisibile che vi si agita al di sotto.
Un mondo romantico ma anche becero e pigrone, fatto di voci senza volto che liberate dal vincolo della rappresentazione possono raccontare storie ognuno a proprio modo facendo compagnia anche a chi si trova nella più assoluta oscurità.
Una di queste voci è Federico Minghini, o Mingo, lo speaker del programma Pandemonium per chi ha confidenza con Radio Città Fujiko la radio libera di Bologna, vascello per frequenze 67481_454881384924_3955124_neteree di cui fu costruttore e di cui tuttora è lepido capitano.
In una città di pionieri radiofonici come il capoluogo emiliano (i più indolenti possono vedere il film del 2004 “Lavorare con Lentezza” di Guido Chiesa per delucidazioni) abbiamo voluto sentire da uno dei loro epigoni come nasce e si sviluppa un organismo pulsante e misterioso come l’emittente radiofonica, una storia che passa attraverso tutto ciò che rende vivo il territorio di cui si nutre in un intreccio animato e complesso di politica, comunità e sentimenti.

_

Cominciamo raccontandoci come e quando sei entrato in contatto col mondo della radio.
Il mio rapporto con la radio nasce casualmente, come spesso capita in queste situazioni, e diventa amore a primo ascolto. Inizio a lavorare in una radio nel circolo Arci di una vecchia casa del popolo bolognese come obiettore di coscienza nel periodo in cui ancora si faceva il servizio militare ed è così che mi trovo a far parte di questa piccola realtà molto locale e molto territoriale; era una delle tante radio libere di Bologna con molte frequenze cittadine chiamata Oasi Radio.
Dunque, io arrivo in questa radio nel ’94 e, in quanto obiettore, quello con gli orari più flessibili, comincio a fare di tutto, dal registrare interviste al provare a fare dirette, spot e mettere musica.
In quel periodo in realtà non ero neanche un grande ascoltatore di radio, ero appassionato di musica, ma non di radio e solo col tempo mi sono calato completamente in questo mondo.

Quale era il rapporto di Bologna con le emittenti radiofoniche?
Fino alla fine degli anni Settanta era una città molto fiorente per le radio libere, nel senso che bastava mettere un antenna sul tetto per iniziare a trasmettere e gli smanettoni di una volta, che si occupavano più di elettronica non essendoci i computer, si divertivano a creare antenne grazie alla cui potenza potevi trasmettere coprendo un determinato raggio di ascolto. Più watt avevi più coprivi, da un raggio di dieci metri ai 2000 watt con cui riesci a coprire la città.
Poi nell’86 le radio furono istituzionalizzate dalla legge Mammì quindi mentre dal ’76 all’86 ci fu una deregulation assoluta con la ratificazione della legge lo spazio radiofonico cominciò a interessare a molti, Silvio tra gli altri, perché lo spazio radio andava a braccetto con quello televisivo.
In origine le frequenze in cui poter trasmettere erano poco costose perché chi ci sapeva fare, una volta costruita l’antenna, prendeva un giradischi, un mixer e il gioco era fatto. Quando sono entrato io le radio erano state già istituzionalizzate tra radio comunitarie e radio commerciali, ovvero: davanti al Ministero delle Comunicazioni le prime hanno dei limiti sulla possibilità di fare pubblicità e diversi accorgimenti SIAE, mentre le radio commerciali possono mettere tanta pubblicità quanto vogliono.
Le radio comunitarie inoltre devono fare informazione, Oasi Radio in particolare era una piccola radio generalista di proprietà dell’Arci senza un target specifico e con poca pubblicità così da farne un progetto che cercava di essere il meno possibile in perdita formato da soli volontari con nel palinsesto radiogiornali, interviste e vari programmi di musica e intrattenimento.

E il passaggio da Oasi Radio al progetto Radio Città Fujiko come è avvenuto?
È una storia un poco complicata… Un giorno, dato che la sala da ballo del circolo sopra la radio, popolata ovviamente da anziani, stava perdendo incassi, fu presa la decisione dall’alto di trasmettere ore di liscio la mattina. Puoi immaginare come questa ripresa di possesso del palinsesto da parte dei grandi vecchi del circolo e l’imposizione del liscio diventasse il pretesto per autoescluderci da una radio in cui c’erano troppo interessi non comuni in ballo e poca libertà decisionale.
Per un po’ di tempo quindi continuai a fare ciò che facevo prima, ovvero il dj nei locali, però quell’esperienza mi aveva messo in testa un idea precisa di come dovesse essere una radio e decisi di creare una radio mia costruendo nella mia mente il progetto di quella che ora è Radio Fujiko.
Nel 2000 Oasi Radio stava ormai chiudendo i battenti e per coprire i debiti si trovava costretta a vendere qualche frequenza fra le tante che aveva tra la città e le zone limitrofe verso il mare; quando le rimase una frequenza soltanto decidemmo di muoverci. Insieme a un gruppo, tra cui locali come l’Estragon e altre associazioni, proponemmo di salvare questa radio per trasformarla in una radio generazionale under 35 che si creasse uno spazio più specifico nel panorama radiofonico in un periodo in cui le radio erano molto simili tra loro.
Negli anni Novanta infatti tutte le radio trasmettevano le stesse quattro canzoni mentre almeno adesso radio come Radio 2 o Radio Capital si differenziano un po’ da Radio Deejay, RDS e il loro mainstream da teenager. In quel periodo l’idea era di fare una radio rock in cui non venisse messa musica commerciale, lo slogan iniziale con cui decidemmo di lanciarci era infatti “Musica a 340 gradi” proprio per specificare come ci interessasse valorizzare il mare inesplorato intorno all’isola della musica commerciale.
Questo fu il primi punto di forza, poi Radio Fujiko nacque subito bene graficamente, come nome, come simbolo; per un estate intera attaccammo adesivi in tutta la città diventando da subito un punto di riferimento per gli universitari. I primi due anni furono una vera esplosione, da zero a 100 in pochissimo tempo, ricordo che alla prima festa di compleanno della radio c’erano seimila, settemila persone; lanciavamo gruppi musicali emergenti, organizzavamo feste in tutta la città e Bologna ci veniva incontro grazie al movimento costante di giovani e studenti.

562782_10150690457648186_1639092205_n

E come facevate a sostenere i problemi legati agli spazi, all’organizzazione e le spese che sicuramente non saranno state irrisorie?
In realtà il progetto iniziale consisteva nell’idea che un’associazione, creata da noi insieme a varie realtà locali, finanziasse ognuno con una quota i primi tre anni per creare una cooperativa che allo scadere di questo termine avrebbe gestito la radio autonomamente riuscendo a stare in piedi se non in perdita almeno in pareggio. In realtà l’associazione per varie vicissitudini durò un anno soltanto e noi come gruppo di attivisti Fujiko rimanemmo dentro ai locali come se fossimo in un centro sociale: nessuno ci mandava via, le chiavi le avevamo noi e con gli altri che pagavano le bollette riuscimmo a fare altri tre anni di radio fino al 2004 autotassandoci per le spese correnti fino a quando la situazione non resse più.
La fatidica goccia che porta il vaso a traboccare fu una cappella incredibile da noi stessi originata, un vero e proprio inside job esplosivo. Decidemmo di organizzare un rave, un festival mostruoso in un periodo in cui cadde la neve più neve del mondo. Il sindaco del tempo, Guazzaloca, ci tolse il Palanord con cui ci eravamo accordati perché ci venisse celebrato il Ramadam o un altra festività musulmana, non ricordo di preciso. L’idea però aveva ormai preso piede e la settimana prima decidemmo di metterci d’accordo con la comunità musulmana facendogli questa proposta: facciamo il rave, finiamo presto e puliamo tutto noi entro le sette di mattina, l’orario in cui sarebbe cominciata la preghiera. Immagina un rave che deve chiudere per pulizia alle sei! Ovviamente fu un delirio che in più ci mandò in perdita per 30.000 euro. Qualcuno poi, come ulteriore beffa dopo il danno, decise pure di strumentalizzare quel fallimento perché per poterlo organizzare fummo costretti a chiedere aiuto al consiglio comunale e in particolare all’opposizione di quel periodo; così sul Carlino il giorno dopo uscì il titolo: «Il rave per finanziare i DS». Credo che se fosse stato realmente così sarebbe stato il primo caso di finanziamento in negativo, dato che col nostro intervento avremmo fatto un buco da decine di migliaia di euro. Comunque, in un momento difficile d’immagine e di risorse l’associazione si sciolse e noi continuammo a trasmettere come attivisti.
Così nel febbraio del 2004 ci venne comunicato dalla direzione che era in corso un progetto di fusione con un altra radio, Radio Città del Capo, al fine di creare una radio nuova, più grande e diversa. L’idea della fusione come allargamento a noi non dispiaceva affatto ma la prima volta che venni convocato ufficialmente dall’Arci mi fu comunicato che il nuovo progetto avrebbe avuto in realtà come nome Radio Città del Capo, con in più l’acquisizione della nostra frequenza e per i migliori di Fujiko la previsione di una presenza solo in qualche programma. Quindi non una fusione ma semplicemente un acquisto della frequenza con la chiusura di Radio Fujiko.
Appena ci comunicarono questa notizia noi andammo in diretta alle sette di sera lanciando l’allarme in modo non proprio politicamente corretto, diciamo che in poche parole mandammo affanculo tutti quanti. Così alle dieci di mattina l’antenna smise di funzionare, ufficialmente per una grande nevicata, e a noi rimase soltanto il sito internet aperto attraverso il quale lanciammo il giallo “Chi ha ucciso Radio Città Fujiko”.
Nel frattempo, però, come attivisti avevamo collaborato a lungo con un altra radio, Radio Città 103 originata dalla separazione di frequenze di una delle prime radio libere bolognesi del ’76, Radio Città, che si era divisa in Radio Città del Capo e Radio Città 103 (come vedi tutto quello che è successo nasce proprio da questa grande madre radiofonica). Insieme a questa emittente avevamo fatto il G8 di Genova e Radio GAP, la radio che trasmetteva dalla Diaz (http://www.processig8.org/Radio/radio_GAP.html), e da quando ci era rimasto soltanto il sito internet collaborammo insieme facendo ogni settimana un programma nei loro studi; poi col passare del tempo ci siamo conosciuti, prima annusati e poi riconosciuti come entità affini.
388919_10151274099636804_1820728687_nCosì nel novembre 2004 avvenne la fusione che diede vita a Radio Città Fujiko come la conosciamo oggi, la proposta di fusione che volevamo fare al vecchio capo Arci alla fine la realizzammo solo su una frequenza, quella odierna 103.1fm di Radio Città 103, in cui proponevamo musica, la specifica maggiore di Fujiko, più l’informazione di cui maggiormente si occupavano gli altri.
Il rapporto coi vecchi colleghi da allora non si è mai più risanato, senza modo né interesse per farlo; qualche redattore, qualche stagista fa tuttora la spola da una radio all’altra e anch’io personalmente non li vedo più come i cattivoni ormai ma semplicemente come..beh, come un’altra radio.

Ma non sarebbe una buona cosa, adesso che di tempo ne è passato, riunirsi con Radio Città del Capo per sfruttare due bacini allargandosi sia come mezzi che come utenti?
Adesso riunirci sarebbe troppo complesso, delle due io ipoteticamente creerei due radio parallele perché il mercato delle radio sta cambiando in termini di costi e struttura; accentrando certi tipi di cose e mantenendo due radio differenti (con tre frequenze in caso di fusione) potresti fare due radio, una più musicale con un po’ d’informazione e l’altra più informativa con la musica che prendi dall’altra.
Se dovessimo, per assurdo, ragionare su una cosa del genere farei questo: un’unica entità, un’unica cooperativa di gestione che sovrintende due radio in due mercati diversi. Su una città universitaria come Bologna una radio con un target del genere avrebbe senso di esistere e potrebbe permetterti di fare più ricerca musicale e giornalistica giocandosi i programmi con una redazione allargata.
Sarebbe più utile anche a livello di mercato perché ormai l’unico imperativo è quello di sopravvivere, le piccole radio sono legate a pubblicità, servizi che puoi cercare di creare, feste di finanziamento, forme di sottoscrizione o abbonamento, queste sono le varie opzioni e con la situazione attuale è sempre più complesso.
Poi come la tv anche la radio dovrà presto passare al digitale con molti punti interrogativi, ancora non ci sono tecnologie fisse che possano dare sicurezza in questo senso e quelle che stanno testando adesso hanno costi di base molto più alti rispetto alle radio fm. In Trentino hanno già fatto una sperimentazione usando il DAB (digital audio brodcasting) ed effettivamente la radio digitale potrebbe ampliare il raggio d’azione ingrandendosi come frequenza da locale a regionale, ma così inevitabilmente anche ogni costo si ingrandirebbe; una media antenna non basterebbe più e se le grandi radio magari potrebbero riuscire a coprire i costi, resterebbe da vedere come fare con le piccole. Magari creando consorzi per fare un palo globale, non so, comunque mentre il digitale terrestre ormai è realtà, per il passaggio radiofonico non ci sono date precise; il problema tecnico fondamentale per ora rimane il riuscire a metterlo nella macchina, il luogo in cui la radio resta ancora leader di ascolto.

E l’opzione internet?
Gli ascolti sarebbero ovviamente molto più bassi ma quello potrebbe essere il futuro. Ci sono molte radio che lo stanno già facendo e quando tutti avremo internet in auto forse sarà l’unica soluzione possibile.
Adesso lo studio della forma internet in generale porterebbe a estendersi anche al video in un opzione multimediale meno legata alla diretta radio quanto piuttosto al podcast, l’intervista o il programma registrati che magari carichi in uno spazio preciso riducendo i costi in stile web tv. Se tutto dovesse passare da internet una radio che faccia solo radio rischia di sparire, se provo a immaginare il futuro vedo l’utente come unico a decidere facendosi da sé il proprio palinsesto scegliendo in rete le trasmissioni che predilige.
564379_4375336662123_1039979621_nMa in qualunque modo la radio si trasformerà, per me la sua potenza rimane sempre il fatto che tu possa ascoltarla facendo altro; mentre cucini, fai l’amore, studi, ti rilassi, t’incazzi, ti sfoghi..Hai sempre quel vantaggio lì e riuscire a mantenerlo sarà la sfida.
Ovviamente anche la web radio avrà bisogno comunque di mezzi costosi, grandi radio come Radio Deejay se vorranno essere ascoltate da nove milioni di ascoltatori connessi su un sito necessiteranno comunque di bei computeroni. Per questo credo che il podcast sia molto versatile, una volta che l’hai scaricato ce l’hai lì e te lo ascolti quando vuoi.

Credi che il mondo radiofonico continuerà ad appartenerti indipendentemente da come andranno le cose?
Certo, io mi sono innamorato della radio in quanto mezzo e soprattutto in quanto luogo. La modalità di radio comunitaria in cui sono sempre stato per scelta e attaccamento personale è un mondo molto completo, pieno di sfaccettature dove si racconta una realtà che si fa raccontare attraverso la musica, la cronaca, la cultura e lo sport. È un luogo molto vivo, un porto di mare dove vive passando un quantità molto variegata di persone; mi piace molto questa fisicità, il fatto che per tre mesi puoi vedere tutti i giorni una persona che magari non vedrai mai più oppure rincontrare l’artista che torna dopo tanto tempo per presentare il nuovo album…
È una realtà che cerca di mettere in collettivo le proprie conoscenze in un periodo in cui si è innegabilmente più soli, o si tende comunque all’individualità; è in questo senso un mezzo molto sociale, comunitario in tutti i sensi, non solo perché è per legge così definito ma perché costruisce effettivamente una comunità.
Credo che poi l’importanza fondamentale di una radio come la nostra sia quella di essere una radio-palestra, molte persone vengono da noi proprio per allenarsi, letteralmente, capendo come usare la voce, scrivere e proporre un articolo, affinando le proprie competenze musicali per poi magari provare a fare il salto verso radio più grosse. È questa la cosa più bella, quando magari accendendo Radio 2 sento leggere una voce conosciuta e capisco quanto sia bello e importante tenere in piedi realtà come queste.
Quindi certamente è un cruccio dover far quadrare i conti tutti i mesi, cosa che era meno problematica per le radio libere che erano più freak da questo punto di vista, ma devi comunque renderti conto di essere un megafono per chiunque abbia voglia di sperimentare e comunicare una parte di sé in questo senso.
Per questo non mi vedrei mai a lavorare in una radio commerciale, facendo magari il tecnico del suono, o lo speaker che legge sempre con lo stesso registro nel programma deciso dall’alto; quello che mi piace della radio è l’essere comunità, essere luogo in cui comunque incontri sempre persone e stimoli nuovi facendo di questo un posto diverso dal solito ancora in piedi proprio perché non viene mai meno la motivazione per fare quello che facciamo. Perché finché ci sarà qualcuno che vorrà passare di qua per farsi un paio d’anni di volontariato e poi riuscire ad andare a fare quello di mestiere posso star tranquillo sapendo di aver raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissato.

199814_10151113687838186_22928474_nQuindi se ti chiedo se ti è mai venuta a noia un’occupazione come questa cosa mi rispondi?
Ovviamente ci sono periodi particolarmente positivi e periodi in cui i conti non tornano mai, periodi in cui magari si infilano una fila di sfighe come la rottura di un’antenna o peggio ancora del mixer; però il fatto che ci sia un alternanza di persone ti rende sempre diverso lo scenario, sia estetico per la diversità delle facce che di temi, di situazione e di ambienti. Quindi a me non annoia per questo, anzi piuttosto preferirei non dover fare altre cose, perché comunque per vivere devo fare il dj nei locali percependo dalla radio al massimo un rimborso spese; potendo vorrei concentrarmi solo su questo per poterlo fare al meglio e con meno dispersione.
Alla lunga insomma mi vedo meno dj e più concentrato a costruire una realtà locale che abbia il pregio di essere radicata nel territorio e per questo più viva rispetto alle radio un po’ di plastica che sono quelle nazionali. Perché in fondo avere un luogo vivo e attivo ti permette di maturare idee nuove adatte e adattate a persone differenti e un po’ di fisicità comunque questo cazzo di mondo 2.0 non potrà mai toglierla del tutto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.