Overshoot Day – Quando la Terra non basta più

Stiamo usando le risorse di più di un pianeta e mezzo, ma questo non sembra allarmarci troppo. Nonostante l’Overshoot Day (Giorno del Sovrasfruttamento delle risorse della Terra) cada ogni anno sempre più in anticipo rispetto a quello precedente, ciò sembra non turbare particolarmente i nostri ritmi frenetici e le nostre abitudini di consumo. Ma il debito ecologico che contraiamo con le risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare annualmente, non ha forse pari importanza del debito pubblico di un singolo Stato? Eppure non passa giorno senza sentire parlare di quest’ultimo in termini allarmanti e allarmistici mentre il primo passa silenziosamente in secondo piano.

impronta ecologica

In Italia, ad esempio, l’Overshoot Day è arrivato lo scorso 24 maggio, con quasi tre mesi di anticipo rispetto a quello mondiale che solitamente cade il 2 agosto. In poche parole, dal 24 maggio, andiamo avanti indebitandoci con il capitale naturale disponibile per il 2018: secondo il Global Footprint Network, in soli cinque mesi abbiamo sfruttato tutte le risorse messe a disposizione dalla natura in un anno. Consumo di suolo (rallentato ma ancora eccessivo), sovrasfruttamento degli stock ittici, deforestazione, inquinamento atmosferico e idrico, attività agricole ed estrattive risultano essere alla base del nostro overshoot. Sostanzialmente, se tutta l’umanità vivesse come la popolazione italiana, avremmo bisogno di 2,6 pianeti Terra per sostentarci.

overshoot day

E va anche peggio se osserviamo l’impronta ecologica di altri Paesi, come Australia e Stati Uniti che utilizzano, rispettivamente, le risorse di 5,2 e 5 pianeti Terra. Tuttavia, a causa di forti disuguaglianze e iniquità nell’accesso e nell’utilizzo del capitale naturale, molti Paesi vivono fortemente al di sotto delle proprie necessità, responsabili dell’eccessivo sfruttamento globale solo in minima parte. E così, mentre uno statunitense consuma 8.6 ettari globali (gha), l’impronta ecologica di un brasiliano è in media di 3,1 gha mentre quella di un Messicano di 2,6 gha. La soluzione? Posticipare l’Overshoot Day di almeno 4 giorni l’anno da qui al 2050, incrementando e migliorando gli sforzi di sostenibilità individuali e collettivi nel settore dei trasporti e dei consumi alimentari, dietro i quali si celano enormi quantità di emissioni di gas serra, di terra e di acqua. Quest’ultima, in particolare, diverrà una risorsa scarsa per quasi 5 miliardi di persone nei prossimi trent’anni a causa di inquinamento, cambiamenti climatici e aumento della domanda stando ai dati contenuti nel Report Making every Drop Count delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale. Lo ha imparato a proprie spese il Sudafrica che da oltre due anni combatte con una crisi idrica a intermittenza culminata, lo scorso marzo, in una vera e propria emergenza. Cape Town e i suoi quasi 4 milioni di abitanti hanno rischiato di dover affrontare il “Day Zero”, cioè il giorno in cui dai rubinetti di tutti gli edifici non scorrerà più una goccia d’acqua. La situazione è drammatica e il tempo non basta più, non solo in Sudafrica ma nel resto del mondo. Il monito è chiaro: con una popolazione in crescita, con una migrazione di massa verso le città, con temperature globali più elevate e un inquinamento sempre più diffuso, il Day Zero potrebbe presentarsi ovunque molto prima di quanto pensiamo.

day zero cape town

Una realtà emersa chiaramente qualche giorno fa a Bologna durante l’incontro con l’antropologo Steven Robins (Stellenbosch University, Sudafrica) dal titolo “Day Zero: Reimagining water in an age of climate change” che ha rappresentato una preziosa occasione per ribadire quanto l’acqua sia una risorsa imprescindibile che troppo spesso viene considerata illimitata e trattata al pari di una merce. Solo quando l’acqua ha iniziato a scarseggiare, afferma Robins, la popolazione si è davvero resa conto della realtà dei fatti e ha iniziato a modificare il proprio comportamento, a partire dalle classi sociali più benestanti responsabili del 70% dei consumi idrici della città. La crisi ha (ri)svegliato le coscienze, ha riportato in primo piano la partecipazione della comunità alla vita politica, ha dato vita a uno “spazio di sperimentazione ecologica” secondo Robins. Ma se solitamente per risvegliarsi occorre attendere il disastro, cosà accadrà quando dopo l’ennesimo disastro sarà troppo tardi per cambiare le cose? Il tempo non gioca a nostro favore, il momento per agire è ora: non lasciamoci sfuggire l’opportunità di farlo.

Photocredit: www.businesslive.co.za, www.overshootday.org, www.footprintnetwork.org

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