Colette, la scrittrice per caso e per noia

«Sono diventata scrittrice senza accorgermene, e senza che nessuno se lo aspettasse» [1]

Colette (Saint-Sauveur-en-Puisaye, 28 gennaio 1873 – Parigi, 3 agosto 1954), in realtà Gabrielle Sidonie Colette, ha avuto una distintiva carica libertaria, amorale e ribelle. Scrittrice di decine di libri di altissimo livello e di una raffinata musicalità difficilmente traducibile nelle altre lingue, attrice e critica teatrale, insignita delle più importanti onorificenze accademiche, come quella di Grand’Ufficiale della Legion d’onore, ricevette i funerali di stato nel 1954 per la prima volta accordati a una donna dalla città di Parigi nella storia della Repubblica Francese.
Ogni volta che una donna curiosa e tenace esce fuori dalle righe del conformismo viene definita con una miriade di cliché, per Colette sono stati l’inesperta giovane che cade nelle braccia del marito parigino traditore, la scrittrice per caso e per noia, la più esibizionista tra le lesbiche, la feroce animalista, l’amante del giovanissimo figliastro.

Il film Colette, uscito poco fa e diretto da Wash Westmoreland, racconta la storia della scrittrice interpretata da Keira Knightley come l’autrice più innovativa, spregiudicata e tra le più controverse della Ville Lumière nella prima metà del secolo appena trascorso, vivendo il periodo della Belle Époque dal suo arrivo in città da un piccolo centro della campagna francese in Borgogna nel 1893.

Colette arriva nella Parigi di fine Ottocento dopo aver sposato l’aristocratico e ambizioso impresario letterario, noto giornalista e critico per varie testate parigine, Henri Gauthier-Villars che scriveva dietro lo pseudonimo di Willy. Affascinata dalla vivacità intellettuale dei salotti della capitale e spinta a scrivere dal marito, Colette riprende i suoi scritti di scuola. La scrittrice viene relegata in un appartamento per oltre sedici ore al giorno, da sola con la sua gatta Kiki-La-Doucette, a comporre tra il maggio e il novembre del 1894 una prima stesura di Claudine à l`école, il primo di un ciclo di 4 libri intitolato a Claudine, una sua sorella immaginaria birichina e sveglia. Nel momento in cui Freud scopre la psicoanalisi analizzando i sogni (L’interpretazione dei sogni esce nel 1900), Colette dà alla luce il celebre ciclo.

L’opera viene pubblicata con il nome di Willy, che convintosi delle grandi capacità di Colette, comincia ad imporle una dura e rigorosa disciplina di lavoro e a sfruttare con grande abilità il notevole successo, immediatamente riscosso. I romanzi infatti diventano ben presto un fenomeno letterario e la loro protagonista un’icona della cultura pop parigina, oltre che un simbolo di libertà femminile. Rompendo con l’immagine dell’isterica o della nevrotica freudiana, Colette/Claudine sfida la rigidità morale e anche divina.
La giovane sposa di Willy, veniva portata nell’elegante mondo della vita notturna proustiana. Con i lunghi capelli intrecciati intorno alla testa, gli occhi che fissavano dall’innocente viso, Colette non era certo preparata a queste incursioni nell’haut-monde, dove la sua presenza non sarebbe mai stata tollerata non fosse stato per il fascino del marito. Da lì il salotto di Madame Arman, il Moulin Rouge, il Café de Flore, il Trocadero, il ristorante Le Drouant che si uniscono a persone, artisti a lei contemporanei: dalla poetessa americana Nathalie Clifford Barney, da Gertrude Stein a Marcel Proust, Maurice Ravel e molti altri. Colette viene sedotta ben presto dai music-hall, con drammi, maschere, illusioni, esibizioni di ogni genere, come se la scena le fosse indispensabile per sfuggire al suo matrimonio sempre più cupo e la legasse ancora di più alla scrittura seppur corporea. Dopo essersi dedicata al teatro, in qualità di autrice e critica, nonché come attrice (esordì nel 1906 in una pantomima di F. De Croisset e Nouguès), avvierà un rapporto non casuale con il cinema.

Il matrimonio con il marito padrone Willy terminerà presto a causa delle abitudini troppo libertine di entrambi. Diventando sempre più consapevole di sé stessa, Colette decide di disegnare la sua strada da sola e inizia una battaglia per rivendicare la proprietà delle sue opere e guadagnare la sospirata emancipazione sociale. La finzione letteraria di Willy verrà smascherata, e alla fine sarebbe morto, malato e solo, senza il sostegno degli amici. Colette d’altro canto vivrà anche lei dei momenti bui, tra cui anche un periodo di depressione, che mai rinnegherà. Dopo la serie di Claudine (1900-1903) seguirono tra le più famose opere Dialogues de bêtes (1904) e La vagabonde (1910). Colette si lega in un rapporto non di certo esclusivo per 13 anni a Mathilde de Morny, detta Missy, che la accompagna inizialmente anche nelle sue apparizioni sulla scena teatrale. Sposerà poi il giornalista socialista Henry de Jouvenel, detto Sidi, dopo varie traversie e sotterfugi per liberarsi dai rispettivi amanti. Nasce nel 1913 Colette Renée de Jouvenel, detta Bel-Gazou. La maternità non sembra però fare per lei e si rifugia in una relazione con il figliastro, Bertrand, negli stessi anni esce il romanzo Chéri (1920). Già al momento della pubblicazione del libro, la critica non mancò di domandarsi se la quarantasettenne Colette si identificasse con la quasi cinquantenne Léa, e chi fosse il suo Chéri. A posteriori, la relazione fra la scrittrice e il giovanissimo figlio del suo secondo marito apparve tradurre puntualmente la vicenda, ma l’invenzione trascende l’esperienza.

Lo sdoppiamento della scrittrice è esplicito in questi anni: «da un lato, la rinascita della fenice Colette attraverso una scrittura che non equivale tanto a una perpetua analisi ma, più intensamente e al di là di un’analisi, a una transustanziazione del suo essere in una prosa poetica per la gloria del puro tempo fattosi corpo; dall’altro, l’angoscia del quotidiano, le difficoltà affettive e materiali, e il racconto, ricominciato senza posa, dell’impossibilità dell’amore, della guerra tra i sessi, delle ferite, dei tradimenti e delle gelosie.» [2]. Nel 1924 rompe con Henry, si disinnamora del figliastro come sa disallinearsi da tutto. E poi c’è l’incontro con Maurice Goudeket, commerciante di perle e diamanti, l’amico degli ultimi anni.

Molti considerano La Chatte (1933) il suo testo più riuscito. «Al livello della raffinatezza dei suoi precedenti successi nell’analisi dell’impasse della coppia e della sensibilità animale assimilata a quella degli esseri umani, questo romanzo preciso e folgorante dipinge la gelosia selvaggia di Camille: mossa da una passione al tempo stesso sottile e inconfessabile, Alain, suo marito, molto attaccato anche alla madre, le preferisce una gatta» [3]. Duo (1934) ricama un’altra volta sull’impossibilità dell’amore a due:

«Lui la contemplava con l’amore ansioso e severo che molti uomini leggeri dedicano in segreto a una compagna fedele, e già sospirava di sollievo vedendola così uguale a se stessa, con la bocca leggermente arrossata, il labbro inferiore largo e spesse volte screpolato, quello superiore più corto e tirato all’insù dal naso – quel nasino un po’ piatto, un po’ schiacciato, brutto, cambogiano, inimitabile – e soprattutto quegli occhi allungati come foglie, frammisti di verde e di grigio, chiari di sera alla luce delle lampade, più cupi al mattino… Alice non si muoveva né distoglieva lo sguardo. Sotto la folta frangia di capelli, Michel vide però ballare impercettibilmente un sopracciglio per l’effetto di una leggera contrazione nervosa. Al tempo stesso gli giunse alle narici l’odore che rivelava l’emozione, il sudore crudelmente strappato ai pori dalla paura, dall’angoscia, l’odore che parodiava il profumo di sandalo, di bosso bruciato, il profumo riservato alle ore dell’amore e alle lunghe giornate di piena estate. Sciolse le braccia misericordiose, si girò a metà e aprì il cassetto dello scrittoio.» [4]

Julia Kristeva, che si sta da anni dedicando alla riflessione inaugurata con la trilogia dedicata al genio femminile come per Hannah Arendt e Melanie Klein, si è occupata anche dell’immorale Colette riuscendo a coniugare la ricostruzione della vicenda biografica della scrittrice, amante insofferente e anticonformista di donne come di uomini, scandagliando la sua opera letteraria.
«Mi piace come scrive questa donna: è un piacere immediato, senza un “perché”, ma voglio comunque scommettere su una spiegazione. Colette ha trovato un linguaggio per esprimere una singolare osmosi tra le sue sensazioni, i suoi desideri e le sue angosce, le “emozioni chiamate alla leggera fisiche” e l’infinito del mondo, vagabonda o condizionata, libera, crudele o sensibile. Lo stile coniuga le sue radici rurali e il suo accento borgognese, alleggerendoli in un’alchimia che continua a essere per noi misteriosa. Lei stessa la chiama “alfabeto nuovo”» [5]. La potenza dello stile naturale di Colette fu una forma di contro-Novecento, un’alterità assoluta rispetto alle inquietudini del secolo: fu infatti capace di reinventare una commedia umana attraverso la messa in scena di un autobiografismo radicale, giocato fra menzogna, invenzione e la scoperta di lancinanti verità. Un’intuizione alla Balzac, il feroce pudore per una realtà che solo nel romanzo diventa poesia. «L’alfabeto scrive il mondo, e il mondo esiste attraverso l’alfabeto: scrittura e mondo coesistono come due aspetti di un’unica esperienza per colei che scrive in questa condizione di trasporto febbrile che sfida la lingua (…)».

La fierezza di Colette non è lontana dalla rivoluzione della mentalità che vedrà avviare l’emancipazione economica e sessuale delle donne. Affrontò con coraggio la necessità di guadagnarsi da vivere, avida di guadagni e spendacciona, sapendo che si trattasse della condizione preliminare per qualunque altra forma di libertà. E non esiste da un altro punto di vista emancipazione femminile senza una liberazione della sessualità delle donne, che fondamentalmente è bisessualità e una sensualità polifonica per Colette.

Note

[1] Colette, Discours de réception à l’Académie Royale de Langue et de Littérature françaises de Belgique, Pléiade, II, p. 1079

[2] Julia Kristeva (trad. di M. Guerra), Colette. Vita di una donna, Donzelli, 2004, pagg. 52-53

[3] Julia Kristeva (trad. di M. Guerra), Colette. Vita di una donna, pag. 57

[4] Colette, Duo, Marsilio Editori, 1994, pagg. 24-25

[5] Julia Kristeva (trad. di M. Guerra), Colette. Vita di una donna, pagg. 3-4

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