Il senso delle cose di Richard P. Feynman

Richard Phillips Feynman è stato un fisico statunitense (New York 1918 – Los Angeles 1988). Dopo aver inizialmente lavorato a Princeton, dal 1951 è stato professore di fisica teorica al California Institute of Technology (Caltech). Per i suoi lavori nel campo dell’elettrodinamica quantistica, tra i quali un procedimento di rinormalizzazione della carica e della massa dell’elettrone, gli è stato assegnato nel 1965 il premio Nobel per la fisica insieme a J. S. Schwinger e S. Tomonaga. Ritenuto da molti il padre delle nanotecnologie, celebre anche per il suo senso dello humor e per le sue lezioni di fisica agli studenti.

Di lui Adelphi ha pubblicato QED (1989), Sei pezzi facili (2000), Il piacere di scoprire (2002), Sei pezzi meno facili (2004) e Deviazioni perfettamente ragionevoli dalle vie battute (2006), ampia raccolta dal suo epistolario. Il senso delle cose, apparso per la prima volta nel 1998, raccoglie tre conferenze tenute da Feynman nell’aprile del 1963 presso l’Università di Washington, nel quadro delle John Danz Lectures Series. A un uditorio che si presume esilarato, un Feynman in forma smagliante lancia le sue provocazioni intellettuali, spiegando con uno stile immediato e antiretorico in che consiste il metodo scientifico e la funzione del dubbio e dell’incertezza. Feynman sa che le idee descritte non sono chiaramente nuove se pensiamo ai filosofi del diciassettesimo secolo. Questo secolo è caratterizzato da una costante: si mette in discussione la tradizione, cercando un metodo di scoperta che permetta di stravolgere le opinioni precedenti, coltivando il dubbio come atto di forza del pensiero. Feynman vuole utilizzare proprio quel cogito ergo sum cartesiano.

Perché ripeterle, allora? Perché ci sono nuove generazioni che nascono ogni anno; perché nel corso della sua storia l’uomo ha sviluppato grandi idee, ma queste non durano se non vengono di proposito trasmesse con chiarezza da una generazione all’altra.
Molte vecchie idee sono diventate patrimonio comune, tanto che non è più necessario parlarne o spiegarle di nuovo. Ma le idee associate ai problemi dello sviluppo della scienza, per quello che posso vedere guardandomi intorno, non sono del tipo apprezzato da tutti. (Il mondo universitario è un po’ un’eccezione; qui molti hanno familiarità con tali questioni, e quindi forse mi sto rivolgendo al pubblico sbagliato).

Feynman nella sua vita è stato un grande divulgatore della scienza e dell’antiretorica. La sua tecnica argomentativa è un misto tra l’accattivante di vera-falsa ingenuità e la spietata astuzia analitica che lo porta a vagabondare al di fuori della fisica, nelle regioni di confine, dall’etica alla religione alla politica, a chiedersi il perché delle cose, della vita, spinto da una curiosità insopprimibile, umile e  quasi fanciullesca. Il fisico parte dalla sua esperienza di ricercatore, per allargare l’orizzonte alla società, alla tecnologia, alla religione, alla morale, in generale al modo di porci davanti alla realtà. Solo grazie alla libertà che si sviluppa nell’incertezza possiamo migliorare e progredire, sempre nel rispetto delle idee altrui.

Ammettere di non sapere, e mantenere sempre l’atteggiamento di chi non sa quale direzione è necessario prendere, ci dà modo di variare, di riflettere, di scoprire cose nuove e di avanzare nella conoscenza di noi stessi, per riuscire a fare quello che veramente vogliamo, anche quando non sappiamo cosa vogliamo. Un ripresa socratica della ricerca continua del sapere. Come la filosofia è un’indagine che permette all’uomo di conoscere il significato profondo dell’essere uomo e presuppone la coscienza della propria ignoranza, anche la scienza è una ricerca che si basa sull’insufficienza e sull’ignoranza.

Feynman rivendica il primato del metodo scientifico come l’unico strumento valido inventato finora dall’uomo per accumulare esperienza e orientarsi nel buio. La scienza è certa solo di non aver certezze:

(…) ciò che oggi chiamiamo “conoscenze scientifiche” è un corpo di affermazioni a diversi livelli di certezza. Alcune sono estremamente incerte, altre quasi sicure, nessuna certa del tutto. Noi scienziati ci siamo abituati, sappiamo che è possibile vivere senza sapere le risposte. Mi sento dire: «Come fai a vivere senza sapere?». Non capisco cosa intendano. Io vivo sempre senza risposte. È facile. Quello che voglio sapere è come si arriva alla conoscenza.
Questa libertà di dubitare è fondamentale nella scienza e, credo, in altri campi. C’è voluta una lotta di secoli per conquistarci il diritto al dubbio, all’incertezza: vorrei che non ce ne dimenticassimo e non lasciassimo pian piano cadere la cosa. Come scienziato, conosco il grande pregio di una soddisfacente filosofia dell’ignoranza, e so che una tale filosofia rende possibile il progresso, frutto della libertà di pensiero. E come scienziato sento la responsabilità di proclamare il valore di questa libertà, e di insegnare che il dubbio non deve essere temuto, ma accolto volentieri in quanto possibilità di nuove potenzialità per gli esseri umani. Se non siamo sicuri, e lo sappiamo, abbiamo una chance di migliorare la situazione. Chiedo la stessa libertà per le generazioni future.

Una serie di asserzioni utili davvero nel quotidiano: la scienza non riconosce autorità, le idee non hanno padroni, non basta che un’ipotesi spieghi una singola osservazione:

Le leggi di natura hanno l’aspetto di leggi matematiche. Qui non c’entra il fatto che l’osservazione è il giudice ultimo, e nemmeno si può dire che la scienza in quanto tale debba essere matematica. Semplicemente constatiamo che si possono enunciare leggi in termini matematici – in fisica perlomeno – che sono molto potenti e utili. Perché poi la natura sia matematica è un altro mistero.
Ora veniamo a un punto importante, ed è che le leggi possono rivelarsi sbagliate. Com’è possibile, se avevano trovato conferma in accurati esperimenti? Le osservazioni non erano corrette? Perché i fisici devono cambiare le leggi in continuazione? La risposta è che: primo, una cosa sono le leggi e una cosa le osservazioni; secondo, gli esperimenti non sono mai accurati al cento per cento. Le leggi sono tentativi umani di estrapolare regole generali dai risultati sperimentali, e non l’oggetto dell’esperimento. Si tira a indovinare, e la congettura per un po’ sembra valida, perché passa attraverso il setaccio sperimentale. Ma con un setaccio più fine, può darsi che non passi più. Quindi le leggi sono solo congetture, sono estrapolazioni nell’ignoto.

Una mente aperta coltiva il dubbio ma questo non implica considerare che ciò che è possibile sia necessariamente probabile:

Innanzitutto, se siamo nell’incertezza, c’è comunque una cosa di cui possiamo essere certi: che siamo nell’incertezza. Ma il punto non è questo. Il numero da contorsionista, in quella conferenza, il punto debole del ragionamento, su cui dobbiamo riflettere, è stato quando ho sostenuto a spada tratta e senza ombra di dubbio che è positivo essere aperti a nuove soluzioni, che l’incertezza è preziosa, che è più importante non precluderci la possibilità di scoprire nuove cose piuttosto che scegliere ora una volta per tutte. E che scegliere qualcosa – non importa in che modo – è molto peggio che aspettare e lavorarci sopra. E mentre dicevo questo sceglievo eccome, e in realtà posso solo essere incerto, su quella decisione. D’accordo. Ora la mia autorità è andata a farsi benedire.

Laddove oggi esiste un predominio della certezza, sbandierata ogni giorno, la capacità di ammettere di non sapere oggi è rara. Sarebbe auspicabile oggi rispolverare questo libro e pensare a come possa cambiare la nostra quotidianità.

Bibliografia

Richard P. Feynman (trad. di Laura Servidei), Il senso delle cose, Biblioteca Scientifica, 1999, pp. 125

Fonte dell’immagine di copertina

© Hannah Wilson Illustration

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