Oops, I die here again… Russian Doll e l’impantanarsi del tempo

Nel 2004, in Italia, è uscito un film passato abbastanza inosservato, È già ieri, con Antonio Albanese come protagonista, la regia di Giulio Manfredonia. Il leitmotiv del film, remake di Groundhog day, poteva sembrare un cliché fantascientifico, con il tempo che a un certo punto decide di fermarsi, e ricominciare da capo. Albanese si trova infatti in un’isola con uno strano sortilegio: ogni giorno Albanese si sveglia e la giornata è esattamente quella appena passata. Le stesse azioni, la stessa data, gli stessi discorsi dei passanti.

A questo film, peraltro godibilissimo, ho pensato subito dopo aver visto il trailer di Russian Doll, serie tv targata Netflix. Natasha Lyonne, portata al successo da Orange is the new black, è una delle creatrici della serie, oltre ad esserne la protagonista, Nadia. Nel giorno del suo compleanno, festeggiato in un locale pieno di amici e più o meno conoscenti, Nadia si ritrova coinvolta in un incidente mortale dagli esiti inaspettati: si ritrova nello stesso bagno del locale dove era cominciata la serie. Il copione è abbastanza evidente: uscendo dal bagno si ritroverà coinvolta negli stessi identici incontri, le stesse persone che la circondano, il tempo che si imbizzarrisce e ritorna sempre uguale.

Foto ripresa da Netflix

Nadia continua a morire nei modi più assurdi e a ritrovarsi nel medesimo posto, apparentemente senza passi avanti o possibilità concrete di ribaltare la situazione. Almeno fino all’incontro con Alan (Charlie Barnett), un perfetto sconosciuto che non ha niente in comune con Nadia salvo esserne legato a doppio filo, poiché vittima della stessa identica situazione.

Russian Doll ha uno svolgimento abbastanza ovvio, che riprende svolte narrative e nuclei tematici da classici come Groundhog day o Ricomincio da capo, diluiti in una forma seriale abbastanza breve, con otto puntate da circa mezz’ora. Appare quindi naturale che l’operazione Russian Doll sia portata sulle spalle da Natasha Lyonne, vera mattatrice della serie. Siamo abituati a vederla come autentico trickster, quello che nella narratologia è il personaggio secondario fuori controllo, amorale, al di fuori delle regole, senza una connotazione positiva o negativa. Finalmente in un ruolo da protagonista, Natasha Lyonne non copre i suoi eccessi ma li unisce e giustifica con una sensibilità costruita sul non detto, sul rimosso, che riesce a non essere mai retorica neanche quando affronta temi come la solitudine o il tragico e contraddittorio rapporto con la madre.

Foto ripresa da Netflix

Pazienza per le sottotrame mai esplorate fino in fondo, per alcuni rimandi filosofici come quello su Jodorowsky che sono totalmente buttati là, come anche il catartico finale di stagione. Russian Doll ci restituisce una protagonista irresistibile, una geek che ci guida in un mondo asfittico che sembra la parodia della fantascienza di Black Mirror.

Il mistero, il caos, le prigioni del tempo non sono mai prese troppo sul serio da Nadia, come fosse tutto un grande videogame di quelli con cui lei, sviluppatrice di professione, lavora ogni giorno. Ne viene fuori una commedia nera, dove la fantascienza, la farsa e il dramma psicologico si mescolano senza mai trovare un’amalgama definitiva, problema peraltro ricorrente nelle serie Netflix, in un clima di instabilità narrativa che sembra essere cucito perfettamente sulle qualità attoriali della Lyonne, chiamata ad uno spartiacque che abbiamo visto recentemente, con le dovute proporzioni, coinvolgere un altro tricker come Johnny Depp: evolvere o rimanere schiavo di se stesso? Anche questa, tutto sommato, è una sfida ad andare avanti. Per non ricominciare ancora da capo.

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