IPCC Special Report – Una gestione sostenibile del suolo per combattere i cambiamenti climatici

Lo scorso 8 agosto l’IPCC, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici, ha pubblicato un nuovo Special Report dedicato alla relazione tra clima, desertificazione, uso, gestione sostenibile del suolo e sicurezza alimentare. Come si legge dalla prima pagina del Rapporto pensato per i decisori politici, la decisione di pubblicare questa relazione affonda le sue radici nel 2016, anno in cui gli scienziati dell’IPCC concordano sulla necessità di realizzare studi approfonditi sullo stato del riscaldamento globale, del suolo e degli oceani. Un rapporto che arriva anticipando la notizia che il luglio di quest’anno è stato globalmente il più caldo degli ultimi 140 anni con il circolo polare artico in fiamme a causa di incendi devastanti e senza precedenti.

Così come per lo Special Report pubblicato a ottobre 2018, anche questa volta i 107 scienziati coinvolti nello studio hanno pochi dubbi: poiché il suolo costituisce la principale fonte di sostentamento e benessere per la popolazione umana, provvedendo a fornire cibo, acqua e altri servizi ecosistemici così come al sostegno della biodiversità, una gestione sostenibile del territorio contribuisce a ridurre gli impatti negativi di molteplici fattori di stress, tra cui i cambiamenti climatici, sulle società umane. Tuttavia, questa necessaria gestione sostenibile è fortemente ostacolata da una serie di variabili tra cui aumento demografico e cambiamenti nei consumi pro capite di cibo, legname, energia. Si osserva un consumo di suolo e di risorse idriche senza precedenti, con il comparto agricolo responsabile dell’uso del 70% delle riserve di acqua potabile al mondo. In sostanza, più cibo per una popolazione in crescita, più consumo di suolo e, conseguentemente, più emissioni di gas serra, perdita di ecosistemi naturali e di biodiversità. L’attenzione dell’IPCC, in particolare, sottolinea come gran parte del problema è legato ai cambiamenti degli stili di vita, specialmente di quelli alimentari. Dal 1961, infatti, la disponibilità di oli vegetali e carne pro capite è più che raddoppiata e, in media, le calorie pro capite sono aumentate di un terzo. Tuttavia, ancora oggi, quasi il 30% del cibo prodotto viene sprecato e sussistono ancora notevoli disuguaglianze nell’accesso al cibo. Questo fa sì che mentre due miliardi di persone al mondo risultano obese, più di ottocento milioni soffrono ancora la fame.

Land is where we live. Land is under growing human pressure. Land is a part of the solution.

But land can’t do it all 

Nel frattempo, degrado del suolo e desertificazione avanzano inesorabilmente. Ogni anno, l’1% delle terre diventa desertico e l’erosione del suolo porta a un evidente degrado del territorio, specie delle aree costiere e delle regioni più settentrionali ricoperte dal permafrost. La desertificazione in espansione colpisce milioni di persone nel mondo, specialmente in Africa sub-sahariana, nel Sud-est asiatico e nel Medio Oriente. Siccità e ondate di calore risultano essere sempre più frequenti in molte regioni tra cui quella del bacino del Mediterraneo. Su scala globale, invece, si registra un intensificarsi delle precipitazioni. Allo stesso tempo, variazioni nell’uso e nello stato del suolo influiscono sul clima a livello regionale e globale.
I cambiamenti climatici hanno già influito negativamente sulla sicurezza alimentare. In alcuni sistemi pastorali in Africa si è registrata una diminuzione nella crescita e nella produttività del bestiame. In molte aree desertiche dell’Africa e in alcune regioni montane dell’Asia e del Sud America questi cambiamenti sono già visibili, testimoniati dalle osservazioni dirette delle comunità indigene attente e sensibili alle minime alterazioni dell’ambiente naturale da cui dipendono e a cui sono indissolubilmente legate. Per tale motivo l’inclusione e l’empowerment delle comunità locali e delle società indigene nell’avanzamento delle strategie di mitigazione e adattamento è un essenziale elemento da integrare nelle nelle politiche climatiche locali, nazionali e sovranazionali.

Con la chiarezza che ha contraddistinto i report più recenti, l’IPCC sottolinea come tutti gli sforzi messi in atto per tentare di arginare la crisi climatica saranno inutili se rivolti esclusivamente al comparto dei trasporti e dell’industria. Al fine di non superare il grado e mezzo di aumento globale, come ribadito dal Rapporto pubblicato a ottobre 2018, occorre agire sul modo in cui viene prodotto il cibo e su una gestione sostenibile del suolo, tenendo presente che più del 70% della superficie terrestre – di quella libera dai ghiacci e dagli oceani – è attualmente sfruttata e utilizzata per sostenere una popolazione in crescita. Sistemi agricoli e zootecnici intensivi e industriali non fanno altro che aumentare l’erosione del suolo e ridurre notevolmente la presenza di materiale organico e nutriente, impoverendo anche gli strati di terreno più in profondità. La metà di tutte le emissioni di metano, ad esempio, provengono dall’allevamento di bovini e dalle risaie. Una maggiore consapevolezza nelle nostre modalità di consumo è contributo indispensabile alla lotta contro i cambiamenti climatici e il degrado ambientale.

Una gestione insostenibile del suolo avrà impatti negativi sul settore economico così come ulteriori aumenti delle temperature potranno amplificare i flussi migratori interni e internazionali, essere causa di sfollamenti oltre che una preoccupante minaccia per i basilari mezzi di sussistenza e un notevole contributo all’esacerbazione di fattori di stress alla base di conflitti e violenze agendo, ad esempio, sulla riduzione della quantità e della qualità delle riserve idriche.
E le soluzioni? Una gestione sostenibile del suolo e delle risorse territoriali è ancora possibile e fortemente raccomandabile. Ma occorre tenere presente che ogni azione di mitigazione e adattamento è strettamente legata al contesto territoriale, economico e socio-culturale in cui viene applicata. Su scala globale non mancano esempi di produzione sostenibile del cibo, di riforestazione, di gestione del carbonio e di conservazione ecosistemica. Il Mangrove Action Project rappresenta un ottimo modello di ripristino e di gestione sostenibile degli ecosistemi, essendo le mangrovie fondamentali per sequestrare carbonio, assicurare il sostentamento delle comunità locali e contribuire alla riduzione del rischio di disastri.

Tuttavia, il concetto è ben chiaro. Il punto di non ritorno è dietro l’angolo e non stiamo facendo abbastanza per prevenirlo. Il livello di allarme è lo stesso già espresso nel precedente Report. Ma se le conoscenze scientifiche e tecnologiche avanzano, se la società civile e le giovani generazioni si mobilitano quotidianamente mettendo pressione sul settore pubblico e privato, spingendo in favore di un’azione e di una cooperazione efficaci e immediate, a mancare è ancora una volta la volontà politica.

L’ultima triste conferma, in ordine cronologico, arriva dal Sud Pacifico. Dal 13 al 16 agosto, infatti, l’arcipelago di Tuvalu, una delle più piccole nazioni al mondo e una delle più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, ha ospitato il cinquantesimo Forum degli Stati insulari del Pacifico (Pacific Islands Forum). Ancora una volta, tuttavia, l’incontro non ha prodotto i risultati sperati. L’Australia, tra i maggiori produttori di carbone, ha portato al fallimento di quello che doveva essere un incontro decisivo per le politiche climatiche regionali e non solo. Senza molte sorprese è venuto meno l’impegno di uno dei Paesi maggiormente responsabili della crisi climatici in atto, riducendo la già flebile speranza del raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi che ad oggi appaiono più lontani che mai. Proprio per questo, tuttavia, non è mai stato così importante continuare a resistere e combattere per la difesa di valori comuni a tutta l’umanità.

Phcredit: public.wmo.int, ipccitalia.cmcc.it, www.panda.org, www.eurekastreet.com.au, sites.unimi.it

 

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