The Skeleton Tree – Un romanzo d’avventura per ragazzi “into the wild”

Sono sempre stata attratta dalle storie di sopravvivenza.

Mettici un evento traumatico, un paesaggio ostile e desolato, il senso di solitudine, il cercare un modo per cavarsela, l’avventura in mezzo alla natura selvaggia, aggiungici pure una punta di mistero e di misticismo arcaico, e qualche incontro inquietante e bizzarro, e già mi avete convinta. Da Robinson Crusoe di Defoe all’Isola misteriosa di Verne, fino ad arrivare al cinico e meravigliosamente illuminante Il Signore delle Mosche di Golding.

Ecco perché sono stata subito incuriosita dal romanzo The Skeleton Tree di Iain Lawrence, pubblicato da Edizioni San Paolo Ragazzi l’inverno scorso, che s’inserisce perfettamente in questo filone. La copertina, con quegli abeti e la nebbia che sale e sfuma tutto, prometteva di portarmi lontano, into the wild – letteralmente, perché la storia è ambientata nella stessa Alaska selvaggia dove Christopher McCandless (o sarebbe meglio dire, Alexander Supertramp) ha cercato la sua felicità.

In questo romanzo, però, abbiamo due ragazzi, e nelle “terre selvagge” ci sono finiti spinti da eventi molto più grandi di loro.

Chris – dodici anni, che ha da poco perso il padre – si ritrova costretto a sopravvivere lungo le coste dell’Alaska, in seguito al naufragio della barca su cui stava viaggiando insieme allo zio Jack e a un astioso (e insopportabile) ragazzo di nome Frank, che gli è stato presentato durante il viaggio. Appena due giorni dopo essere salpati, la barca affonda: a salvarsi sono soltanto i ragazzi, che non hanno altra scelta se non quella di cavarsela in una landa disabitata.

Da soli.
Senza la possibilità di comunicare con nessuno.
Con l’inverno alle porte.

Ho paura, quando mi sveglio di notte. Resto disteso nell’oscurità e ascolto ogni singolo suono proveniente dalla foresta. Non riesco a vedere il soffitto o le pareti della capanna. Non riesco nemmeno a vedere Frank e per un attimo ho la certezza che sia andato via. Ma poi, attraverso il buio, mi giunge il suono leggero del suo respiro e sapere che è lì vicino mi fa sentire al sicuro. Ero sempre spaventato e la notte era il momento peggiore. Quando calava il sole mi sarei messo a urlare. Ora non sono più così. Ho imparato un sacco di cose sulla foresta e sul mare e anche un sacco di cose su me stesso. Ma quando mi sveglio al buio, ho paura.

Insomma, non proprio una situazione facile. 

In mezzo a questo nulla disabitato, gli unici segni di presenza umana sono una serie di elementi misteriosi e inquietanti, testimoni di un eventi terribili, che incontriamo man mano lungo il romanzo. Prima, una rudimentale e fatiscente capanna abbandonata nella foresta, in cui Chris e Frank cercano un rifugio. I ragazzi – e noi con loro – non possono fare a meno di chiedersi dove sia finito chi ha abitato lì prima di loro? È stato salvato, oppure è andato incontro a un destino a cui è meglio non pensare?

Poi, poco distante dalla capanna, si aggiunge la scoperta dell’albero degli scheletri: un albero imponente e nodoso, a cui sono appese delle bare contenenti ciò che resta di persone ormai cancellate dal tempo e dalla memoria, le cui ossa sono spuntate dalla pioggia e dai venti freddi del Nord. Chi le ha fatte? Qual è il loro significato? Perché sono lì?

Infine, quando i ragazzi si metteranno alla ricerca di qualcosa di utile per la loro sopravvivenza, ecco che troveranno, sulla spiaggia, trasportati a riva dalla marea, alcuni rifiuti provenienti dalle coste giapponesi. Oggetti che hanno perduto il loro valore, e segni tangibili della potenza distruttiva della natura, in questo caso quella dello tsunami che ha colpito il Giappone nel 2011.

L’intera vita di una bambina giaceva sparsa sul letto.
C’erano un gattino di peluche e una graffetta gialla, un cavallino con gli occhi blu, un diadema d’argento fatto di plastica. […]
C’erano anche altre cose. Niente che ci potesse servire, ma per una bambina in Giappone dovevano essere state le cose più importanti del mondo. Era orribile pensare che adesso – e per sempre – fossero state disconnesse dai ricordi che le avevano rese preziose. Senza quella connessione forse erano soltanto spazzatura.

Quindi, è in questa terra in cui la natura è la regina assoluta e non guarda in faccia a nessuno, che Chris e Frank cercano con le loro forze di sopravvivere, ma non scarsi risultati. Accendere un fuoco è più difficile di quanto si sarebbero aspettati, e l’inverno ha pietà. Il fiume si svuota progressivamente dei salmoni, la loro unica fonte di sostentamento, e quelli che hanno pescato finiscono per marcire.
In più, il rapporto tra i due, anziché migliorare, sembra deteriorarsi, giorno dopo giorno. Soprattutto, a causa dell’amicizia tra Chris e un corvo ribattezzato Giovedì, dalle piume nere e lucide, personaggio centrale del romanzo. Perché sembra dotato di qualche potere magico, dal momento che parla, emettendo gracchianti – e inquietantemente profetici – versi: “Ti odio”. A chi parla, il corvo? Tutto quell’odio cieco e furente da dove viene?

Qualcosa è andato veramente storto. Mi sarei aspettato qualsiasi cosa, ma mai la nebbia. Eppure lontano, da nord fino a occidente, il mare è nascosto dietro una spessa coltre bianca.
Una vocina mi sussurra dubbi nelle orecchie. Nessuno verrà. Era solo un sogno. Come possono trovarci se il nostro mondo si è ridotto a un cerchio grigio?
Grido forte, cercando di scacciare i pensieri. «Oggi è il gran giorno! È questo il giorno in cui verremo salvati!»

Di ingredienti, in questo romanzo, ce ne sono parecchi.

Dall‘avventura di naufraghi, che devono lottare per la propria vita, al mistero del corvo e dell’albero degli scheletri, passando attraverso la classica storia di formazione, in cui due ragazzi dovranno imparare a superare i propri limiti e scopriranno dolorosi segreti.

Di The Skeleton Tree, ho apprezzato tantissimo l’ambientazione: in certi momenti, sembrava davvero di essere lì, tra gli abeti e i giganteschi cedri dell’Alaska, coi piedi a mollo nelle acque freddissime del fiume cercando di catturare i profili scivolosi dei salmoni, il terrore totalizzante di quando scende il buio e la notte si riempie di rumori sinistri, o di quando il vecchio orso comincia ad avvicinarsi sempre di più…

Quello che mi è mancato, però, è qualcosa in più nel rapporto tra i due ragazzi e nell’evoluzione della rispettiva maturazione. Se è vero infatti che, alla fine, ne escono cambiati, altrettanto vero, è che il loro destino venga completamente affidato a un deus ex machina benevolo – sotto forma di corvo alato – che interviene nei momenti di maggiore tensione e risolve la situazione.

Ma piccoli difetti a parte, ho trovato una storia avvincente e intensa, con un finale che tiene il lettore incollato alla pagina, e che ci ricorda che la natura – potente e magnifica – non è né buona né cattiva, e che noi, davanti a lei, siamo piccolissimi.

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