La Casa sull’albero – L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre di Marilù Oliva

Data la situazione Covid-19 molte librerie sono state costrette ad annullare e/o a cancellare gli eventi. Sappiamo che è giusto così, anche se ci dispiace molto, soprattutto per gli autori e le autrici i cui libri che stanno continuando a uscire, per tutta la filiera editoriale che si trova in difficoltà. Per questo abbiamo deciso di aprire uno spazio virtuale temporaneo qui su Tropismi, dedicato esclusivamente alla presentazione dei libri orfani di presentazione. Pubblicheremo brevi interviste agli autori, come se ne stessimo parlando in libreria, con qualche domanda e, se possibile, qualche riga di estratto. Non potremo dare a ogni libro il pubblico e il tempo enormi che meriterebbero, ma cercheremo di riservare uno spazio di benvenuto per tutti.
L’ospite di oggi è Marilù Oliva con il suo L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre, edito da Solferino.

Come nasce l’idea di questo libro?
Nasce con l’intento di valorizzare le molte donne che ebbero la fortuna, almeno nel mito, di incontrare Ulisse. L’Odissea è un poema rivoluzionario, per quanto riguarda il ruolo delle donne e mi sembrava un peccato che restassero comunque in secondo piano.

Riassumi il nodo centrale del libro in una frase.
«Se le donne incontrate non gli avessero dato una mano, Odisseo – forse – sarebbe ancora in viaggio».

Che tipo di lavoro hai svolto per scrivere il tuo libro?
Lo spiego diffusamente nelle note finali, approfondendo anche l’aspetto filologico. In sostanza, sono partita da uno studio decennale dell’opera omerica, ho letto diverse traduzioni e riscritture e, dove avevo qualche dubbio, sono intervenuta col buon vecchio Rocci (il dizionario di greco), ovvero con una traduzione personale.

Hai dovuto compiere delle ricerche?
I miei personaggi femminili sono molto fedeli a ciò che narra Omero (o chi per lui). Però restava da indagare un piccolo spazio dell’animo umano: quanto amano, queste donne? Quanto tramano, quanto osano? Quanto si adira, Calipso, nel momento in cui è obbligata a lasciar andare via Ulisse? Quanto è distaccata la dea Atena dagli umani e, al contrario, quanto è devota? Quanto è stanca di aspettare il suo uomo, Penelope? Ecco, tutto ciò che non ho trovato esplicitato nell’Odissea, l’ho cercato nel mito e nella letteratura antica.

Chi ti piacerebbe che lo leggesse?
Data la ricchezza di generi e l’attualità dell’opera omerica, questo libro è pensato per un destinatario universale. Qui si spazia dall’horror al viaggio, dal romantico al fantasy: ce n’è per tutti i gusti. E si possono trovare molti parallelismi con l’attualità. Ulisse, ad esempio, in alcuni passaggi è paragonato a un migrante sballottato dal mare, che giunge in terre ostili e spesso non viene accettato. Poi c’è il tema dell’amore, perché l’Odissea, vista da una prospettiva non solo avventurosa, è anche un variegato romanzo di amori, abbandoni e ritrovi.

Estratto:

Eccolo, lo sfuggente. Il re divenuto naufrago. L’uomo
sballottato dall’ira degli dèi. Il mare me l’ha rovesciato
sulla battigia nudo e disperato, mi è bastato uno sguardo
per perdermi in lui e offrirgli tutto ciò che avevo.
Una grotta come rifugio.
I profumi dell’isola di Ogigia.
La serenità di un vitto.
E, più grande di ogni cosa, l’immortalità.
Ma lui, imbrigliato nel bisogno di quotidianità comune
agli umani, ha preferito continuare a sognare il
suo viaggio di ritorno.
Lo osservo nascosta dietro un cespuglio odoroso.
Odisseo è sugli scogli, fissa il mare come se la vedesse,
là in fondo, la sua isola tanto sospirata e non la
potesse toccare. Itaca, la chiama di notte, nel sonno,
come se fosse la più bella delle terre e non uno schizzetto
di rocce e campi. Itaca dai saliscendi, dalle baie
improvvise, dai vigneti sghembi e dai monti irregola-
ri, Itaca dove quest’uomo ha lasciato il suo scettro che
qualcuno vuole sottrargli.
Tutte le notti, la stessa cantilena. Il re di Itaca invoca
la sua terra, il figlio, la madre e il padre. Ma, sopra
ogni cosa, mormora un nome, spezzandomi l’orgoglio
nel cuore: Penelope. La chiama dopo avermi
stretta nel talamo, appena la veglia scivola via. Questa
donna mortale è la sua ossessione, assieme a ciò
che le sta attorno.
Ma i ricordi sbiadiscono nei miraggi. E così il figlio
di Laerte ha dimenticato l’ovale del viso della consorte,
la pelle da neonato di Telemaco – tale era, quando
Odisseo era partito per Troia –, la forma esatta del
porto di Itaca – rammenta però che fosse un semicerchio
– e la lunghezza precisa dell’atrio del palazzo reale.
Seduto sugli scogli, le spalle larghe imbrunite da
giorni e giorni in mare, le mani dure dei rematori che
sono stati prima sovrani, poi soldati, quindi superstiti,
marinai e infine profughi, la barba mora spruzzata
da fili d’argento, Odisseo punta il mare in posa plastica,
profilo deciso, la barba che asseconda il contorno
del mento, gli occhi scuri di chi sa scrutare a fondo,
mentre il pensiero già scorre oltre qualsiasi improbabile
combinazione di possibilità.
Perché non riesco a lasciarlo andare?
Perché lo seguo qui ogni mattina e ogni mattina mi
piego al giogo dell’umiliazione?
Perché desidero notte e giorno che si corichi con me?
La malia che mi lega a lui mi ha costretta a seguirlo
anche stamane come una cagna fedele, dopo che il padrone l’ha cacciata via con una pedata. Me ne sto
qui in disparte e lo spio, ricevendo di nuovo la conferma
di una cocente verità: non sarò mai la prima, non
sono nemmeno seconda e terza, perché sono soltanto
il ponte tra una sfida e l’altra.
Si passa una mano tra i capelli mossi e fa ciò che
nessun eroe fino a questo momento aveva osato fare.
Piange.
Inammissibile, forse, per chi rammenta l’ira funesta
di Achille o la veemenza bruta di Agamennone.
Ma Odisseo no, lui non si lascia andare al furore.
Lui è l’ultimo degli eroi.
Medita come nessuno mai.
Ricorda.
E piange.
Come ogni mattina, piagato dalla sua solitudine.
Ogni mattina lo devasta la nostalgia, il dolore che
gli arreca il pensiero del νόστος,il ritorno a casa, ma
anche al passato, al luogo che fu – e l’uomo vorrebbe
soltanto scomparire dai miei scogli per comparire
sui dossi rocciosi di Itaca. Ogni mattina si consuma la
pelle sui ruvidi massi e mischia le iridi in quell’azzurro
immenso che si disfa in blu, poi in viola. Ogni mattina
arriva alla scogliera poco prima che la notte svanisca e
Aurora si stringa all’orizzonte con le sue dita di rosa.
So cosa lo tormenta, oltre alla nostalgia, in quello
spazio sospeso tra terra e mare dove io sono il più
fatuo e fastidioso dei suoi pensieri. Odisseo si sente
braccato. Lui che ha combattuto la guerra più celebre
dell’antichità, lui che ha ideato lo stratagemma per vincere l’inespugnabile rocca di Troia, lui che è sfuggito
alla furia dei venti e all’ira di Poseidone, che ha
ottenebrato la vista a un bestiale Ciclope e opposto
resistenza alle Sirene, ecco: proprio lui è cascato nelle
trappole di Calipso.

Photocredit: © foto dell’autrice scattata da Marco Valenti

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