Osservatorio di non-fiction italiana: Giulia Cuter e Giulia Perona, creatrici di Senza Rossetto

Le prime ospiti dell’Osservatorio di non-fiction italiana sono Giulia Cuter e Giulia Perona, le creatrici e curatrici e redattrici, le tutto di Senza Rossetto,un progetto di racconti nato ormai quattro anni fa, come un podcast, in poche puntate, e che ha continuato a crescere e trasformarsi, attirando gli sguardi di tutti gli intellettuali (li vogliamo chiamare così?) più curiosi.

Quindi, cosa c’entra con un Osservatorio di narrazione non-fiction? Prima di tutto, in questa occasione parleremo di Le ragazze stanno bene, la loro raccolta di saggi, edita da HarperCollins, che è un perfetto primo esempio di come si sta trasformando questo tipo di narrazione, anche grazie a voci nuove e coraggiose.

Inoltre il progetto di Senza Rossetto continua ancora oggi, nella sua nuova forma. Non sono più veri e proprio racconti, ma possiamo chiamarli long-form di non-fiction – se vogliamo essere defenestrati da qualche purista della lingua italiana -possiamo chiamarli articoli lunghi, ma continuano a essere racconti, in questo caso “veri”, che illuminano una porzione di mondo, quella degli autori che vengono chiamati a parlare. È una newsletter, esce tutti i venerdì, e ci si può iscrivere qui.

Ma per chi non vi conosce di che parla Senza Rossetto, a parte che di donne?
Senza rossetto è un progetto nato nel 2016 sotto forma di podcast. Quell’anno si celebrava l’anniversario del primo voto politico delle donne italiane, quello avvenuto durante il referendum Monarchia contro Repubblica del 1946. Inizialmente quindi abbiamo voluto raccontare cosa fosse cambiato per le donne in quei 70 anni che ci dividevano dal primo voto: le leggi che erano state fatte, le battaglie, i libri che erano usciti, i diversi modi in cui la società si approcciava al tema della parità di genere. Dal 2016 a oggi, il progetto è cresciuto e si è arricchito con una newsletter, molti eventi live e ora il libro: il punto centrale è sempre la parità di genere, con particolare attenzione ai diritti delle donne, ma nel tempo abbiamo allargato molto lo sguardo, toccando anche temi che riguardano fortemente la contemporaneità. Interviste a scrittrici e intellettuali (se vogliamo usare questa parola), recensioni di film e serie tv, dibattiti sulle relazioni ai tempi di Tinder e sulle cosiddette blended family, le famiglie allargate. Diciamo che siamo diventate un contenitore e una piattaforma in cui affrontare molti temi, sotto il punto di vista della parità di genere.

Le ragazze stanno bene. È vero, le ragazze stanno molto meglio di qualche tempo fa, ma sotto certi aspetti anche peggio. I costrutti sociali, la società, le aspettative, giocano ancora un ruolo troppo importante nelle nostre decisioni. E inficiano troppo anche la vita degli uomini. Ne parlate a lungo in tutto il libro, ma ha una particolare forza nel capitolo legato al matrimonio e a quello sulla maternità. Come mai secondo voi?
La questione della maternità è un tema centrale nella vita della donna, perché l’oggettiva differenza biologica tra uomini e donne in questo ambito è alla base della disparità di genere da secoli, anzi millenni. Ancora oggi la maternità è per la donna il motivo principale per cui è discriminata nel mondo del lavoro e in generale in qualsiasi aspetto della sua vita sociale. Come spieghiamo nel libro, gender pay gap non significa solo che le donne a parità di formazione e di mansioni vengono pagate meno dei colleghi uomini, ma soprattutto che le donne in generale fanno meno carriera dei loro mariti e compagni, perché nel momento in cui decidono di fare un figlio la nostra società impedisce loro di continuare a lavorare alle stesse condizioni di prima. Quindi, semplicemente, le donne a certi livelli di carriera non ci arrivano mai. Lo stesso possiamo dire del matrimonio: una delle cose curiose che abbiamo scoperto facendo ricerca per il libro è che sposarsi conviene soprattutto agli uomini, tanto che i divorziati dichiarano di volere una nuova moglie quasi nella totalità dei casi. Molto più raramente, invece, le donne divorziate manifestano il desiderio di risposarsi. Se consideriamo che le donne dedicano al lavoro domestico ancora oggi più del doppio del tempo rispetto agli uomini, è semplice capire che sposarsi per una ragazza equivale a impegnarsi in un secondo lavoro, una vera e propria carriera…

Il libro è costruito in tanti capitoli con delle microfrasi rappresentative che fanno da cappello. La mia favorita è: “Ti rovineremo ogni futura vacanza – LE MESTRUAZIONI”. Una condanna scolpita nella pietra. Qual è la vostra?
È difficile dire quale frase e quale capitolo siano i nostri preferiti, il lavoro è stato lungo e anche quegli argomenti che sentivamo più lontani da noi, per esperienza diretta (come per esempio la maternità e il matrimonio) poi si sono rivelati molto interessanti e coinvolgenti. Sicuramente alcune di quelle frasi ci sono riaffiorante con facilità quando cercavamo dei titoli per i capitoli, perché legate a momenti precisi della nostra vita: «Sei carina anche con gli occhiali», «Anche le ragazze hanno voglia di scopare», per esempio. La prima era il contenuto di un catcalling ricevuto da una di noi per strada, l’altra una frase detta da un amico comune. Come molti degli argomenti di cui trattiamo nel libro, partono da piccole esperienze quotidiane, piccoli esempi concreti che per noi sono molto importanti nel raccontare il mondo in cui viviamo e la parità tra i generi.

Avete scelto un modo particolare di gestire il fatto che siete una coppia di scrittrici. Ogni capitolo inizia con una introduzione legata al vostro vissuto, ma non sapremo mai di quale delle due perché avete scelto la prima persona singolare. Insomma, siete diventate la stessa persona. Come vi è venuto in mente?
Dietro questa scelta ci sono due motivazioni, una pratica e una più “ideologica”. Quella pratica è che raccontare in prima persona le nostre esperienze dovendo sempre specificare chi delle due stesse parlando sarebbe stato molto complesso e avrebbe perso molta dell’intimità che cerchiamo di creare con il lettore. L’altra ragione è che, venendo dall’esperienza di Senza rossetto, ci siamo abituate negli anni a scrivere insieme, a riferirci a noi due come un’unica entità e pensiamo di essere arrivate a un momento in cui le nostre voci si intersecano e si sovrappongono senza difficoltà. In questi anni poi abbiamo raccolto tantissime storie e testimonianze di altre donne, amiche, mamme, lettrici, compagne quindi l’idea è stata quella di creare un’unica voce che fosse la nostra, ma anche quella di tutte le persone che in questi anni ci hanno dato degli spunti su cui riflettere e delle storie da raccontare. Per questo abbiamo raccolto degli aneddoti personali ma anche molto normali, raramente eccezionali, perché volevamo dare a tutte l’opportunità di dire “Ah, questa cosa è successa anche a me!” e di riconoscersi nel nostro libro e nelle nostre esperienze.

Partendo dal presupposto che speriamo che Le ragazze stanno bene abbia moltissimi lettori, con una grande biodiversità. Ma quale sarebbe il vostro lettore ideale? A chi vorreste parlare per primo?
Pensiamo che questo libro possa parlare a tutte quelle persone incuriosite da questo tema e che cercano un modo, semplice nella forma, per approfondirlo. Speriamo possa essere una lettura interessante per i più giovani, ma anche per i papà che hanno figlie femmine, per capire le sfide che dovranno affrontare durante la loro crescita.

Nel capitolo “Il dottore e la signorina – IL LAVORO” si parla di un tema che, è evidente, vi sta molto a cuore, il gender pay gap. Ovvero la differenza di retribuzione tra uomo e donna con pari livello e anzianità. Ma non solo, vi concentrate molto anche sul lessico utilizzato per definire il lavoro maschile e femminile. Ci sono ancora tante persone che ritengono ridicolo declinare al femminile alcune professioni, come “la sindaca” piuttosto che “il sindaco”. Pensate che si debba passare per forza dalla lingua per ridefinire il contesto sociale?
Il linguaggio è specchio del mondo in cui viviamo e viceversa contribuisce a plasmare il mondo che ci circonda, quindi sì, pensiamo che sia un elemento fondamentale da tenere in considerazione per raggiungere la parità di genere. Questo è un concetto su cui abbiamo lavorato tantissimo anche prima del libro: la seconda stagione del nostro podcast partiva proprio da una riflessione sul linguaggio. Ogni puntata prendeva spunto da una frase fatta che noi donne ci sentiamo ancora rivolgere tutti i giorni. Frasi apparentemente innocue come “Quando ce lo fai un nipotino?” o “Sei una donna con le palle”, ma che nascondono un modo molto rigido e stereotipato di pensare ancora al mondo femminile. È facile pensare che dire “Sindaca” invece che “Sindaco” sia un problema irrilevante di fronte a disparità più oggettive e pesanti, ma la resistenza che facciamo per adeguarci a questi neologismi (che poi non sono neologismi, la nostra lingua prevede da sempre la declinazione di genere dei cosiddetti “agentivi”) riflette una rigidità di pensiero su cui c’è ancora moltissimo lavoro da fare.

La bibliografia di Le ragazze stanno bene è degna di una tesi di dottorato. Avete fatto molta ricerca? Avete letto tanto?
Abbiamo letto, ascoltato e visto tantissimo. Forse la parte più lunga di tutto il processo è stata proprio quella di ricerca, nonostante partissimo già da una buona dose di riferimenti accumulati nel tempo per realizzare il podcast e la newsletter. Anche controllare e comporre la bibliografia è stato una delle parti più delicate del lavoro, in cui per fortuna siamo state aiutate dalla casa editrice. Ne siamo molto soddisfatte, perché volevamo che questo libro fosse prima di tutto una finestra su un mondo che è molto più grande e approfondito di così, e speriamo che sia uno stimolo per chi lo leggerà per andare a scoprire e studiare ancora di più!

Cosa pensate dell’articolo di Rebecca Solnit “Younger feminists have shifted my understanding”, avete anche voi la sensazione che ci sia un movimento “giovanile” che grazie alla sua nuova consapevolezza sta superando il femminismo classico?
Ovviamente molte cose sono cambiate rispetto al femminismo degli anni ’60 e ’70. Non avremmo i diritti che abbiamo senza la battaglia di quelle donne che prima di noi hanno lottato con così tanta forza, scendendo in piazza e trovando nuovi modi di parlare di parità di genere. Dobbiamo a loro moltissimo. Ma il tempo è passato e le sfide del femminismo, così come le persone che lotteranno sotto la sua bandiera, sono cambiate. Oggi il movimento è composto da moltissime voci, molti progetti differenti. È un insieme di individualità che deve cercare sempre di più di ritrovare uno spazio collettivo, visto che siamo meno abituate delle nostre nonne a scendere in piazza. In più il femminismo di oggi deve essere sempre più inclusivo: la battaglia non può includere solo le donne, e soprattutto solo le donne bianche. Dobbiamo essere capaci di allargare il nostro modo di vedere il mondo, coinvolgere nella lotta anche tutte quelle minoranze che oggi non vedono riconosciuti i loro diritto. Solo un mondo dove tutti avranno gli stessi diritti, sarà un mondo migliore in cui vivere.



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