Il Bengala, “La casa e il mondo” di Rabindranath Tagore

A inizio Giugno Fazi Editore ha pubblicato una nuova traduzione del capolavoro di Rabindranath Tagore “La casa e il mondo” con la traduzione di Sabina Terziani. Considerate un premio nobel per la letteratura nel 1913, il primo scrittore non europeo. Considerate il ritratto delle tradizioni indiane a inizio Novecento, delle abitudini e dei conflitti che potevano caratterizzare la vita di una donna nel conciliare tradizione e modernità, nel risolvere quell’opposizione tra «la casa e il mondo».

Rabindranath Tagore

Erano stati principalmente Ezra Pound e W.B. Yeats a divulgare le opere di Tagore in Occidente. Questa fama lo portarono alla vittoria del Nobel. Come scrisse W.B. Yeats nel saggio con cui presentò il grande poeta all’Occidente: «Tagore, come la stessa civiltà indiana, si è sentito pago di scoprire l’anima e di abbandonarsi alla sua spontaneità».

Tagore con la sua prosa elegante e raffinata ha tentato di esprimere sempre la sua passione nella convinta ricerca dell’armonia e della bellezza nonostante le difficoltà. In questo romanzo si immedesima in tre voci, la prima è quella della giovane Bimala:

«Il mio gesto non aveva nulla a che vedere con il merito, veniva dal mio cuore di donna, che deve adorare per poter amare. Il casato di mio suocero era già illustre ai tempi dei Badshah. Ereditavano alcune consuetudini Moghul e Pathan, mutuavano altre usanze da Manu e Parashar, ma mio marito era assolutamente moderno. Era il primo della famiglia che avesse frequentato l’università e si fosse laureato.» (1)

“La casa e il mondo” è uno splendido romanzo a tre voci dall’estensione potente che mostrano sostanziali differenze, le differenze stesse dello Stato del Bengala che nei primi anni del Novecento era sconvolto dalle rivendicazioni del movimento indipendentista indiano contro la dominazione britannica. Le differenze sono speculari al conflitto tra il proprio universo interiore, gli universi interiori di ognuno e la realtà storica che fa da sfondo alle complesse vicende dell’io che conosce altri io. Il lettore attraverso le fila del racconto si sente avvolto da microcosmo e macrocosmo fra temi politici, religiosi e mistici svelandone punti di contatto e contraddizioni.

«Il cambiamento che si è prodotto nella mente del Bengala è stato repentino e straordinario, come se il Gange avesse toccato le ceneri dei sessantamila figli di Sagar, che nessun fuoco poteva incendiare né altre acque potevano bagnare e rendere modellabili come argilla vivente. Le ceneri senza vita del Bengala si sono improvvisamente risvegliate e hanno proclamato: Eccomi!» (2)

Bimala nella versione cinematografica indiana del 1985. Il film è stato diretto da Satyajit Ray e presentato a Cannes nel 1984 per la candidatura alla Palma d’oro

Le tre voci dalle personalità diverse e fortemente contrastanti del romanzo svelano i segreti e i pensieri più intimi, permettendo al lettore di riconoscere quelle voci come caratteristiche di quei personaggi e spingendolo a cambiare continuamente punto di vista. Sono personaggi in ogni caso dove il lettore scende profondamente, nell’intreccio della narrazione dal taglio filosofico. Ci sono frasi che scendono dentro la coscienza del lettore. Troviamo così da subito la voce di Bimala, la perfetta moglie indiana, che ha bisogno di adorare il marito per poterlo amare, che ricerca una subordinazione. Tale forma di legame, quasi di sudditanza, viene combattuta dal marito Nikhil, un uomo moderno e mite:

«Finora Bimala era stata la mia Bimala, una creatura forgiata da spazi limitati e dalla routine quotidiana delle piccole faccende di casa. L’amore che ho ricevuto da lei sgorgava dalla profonda sorgente naturale del suo cuore, oppure era regolato dalle consuetudini sociali e usciva a comando come l’acqua dal rubinetto? Desideravo vedere Bimala  bocciare in tutta la sua verità e potenza, ma avevo dimenticato di  considerare che bisogna rinunciare a ogni pretesa basata su diritti convenzionali se vogliamo che una persona si riveli liberamente nella verità. Perché non ci ho mai pensato? Forse perché come uomo ero accecato dall’orgoglio di possedere una moglie? (…) Bimala non era riuscita a capire una cosa di me, ovvero che consideravo l’imposizione della forza una debolezza. Solo i deboli osano essere ingiusti. Sfuggono alla responsabilità dell’essere corretti e cercano di arrivare velocemente ai risultati prendendo la scorciatoia dell’ingiustizia. Bimala non è paziente con la pazienza: nel carattere di un uomo le piace trovare il conflitto, la rabbia e l’ingiustizia. Per lei il rispetto deve contenere un elemento di timore. Avevo sperato che Bimala, trovandosi libera di esplorare il mondo esterno, sarebbe guarita dall’attrazione per la tirannia.» (3)

Nikhil vorrebbe sentire la voce più vera della moglie così da lasciarla libera fuori dalla zenana domestica, dedicata alle donne, per conoscere il mondo fuori dalle mura di casa.

Bimala e Sandip

La terza voce del romanzo è quella di Sandip, leader radicale del movimento indipendentista indiano, un soggetto narcisista, senza scrupoli e avido, un ammaliatore d’anime. Entrando in scena sconvolge le abitudini e le vicissitudini familiari. Riesce ad attrarre Bimala con la forza delle proprie idee, a tirarla fuori dall’isolamento domestico. 
Sandip è l’uomo forte verso il quale Bimala vorrebbe riversare la propria adorazione, l’adorazione di cui lei sente di aver bisogno per poter amare un uomo, un uomo dall’ego fortissimo, abituato ad ottenere sudditanza nei rapporti che instaura. Così l’ingenua Bimala cade nella sua trappola da sobillatore:

«La richiesta che ho fatto a Bimala è davvero esagerata. Dapprincipio avevo qualche scrupolo – in fondo essere inutilmente in conflitto con se stesso è un’abitudine connaturata all’uomo – e ho pensato di averle imposto un compito troppo arduo. Il mio primo impulso è stato di richiamarla e dirle che avrei preferito non rovinarle la vita trascinandola in un mare di problemi. In quel momento avevo dimenticato che la missione dell’uomo è essere aggressivo e rendere fruttuosa l’esistenza della donna rimestando nella sua passività per creare inquietudine. (…) Se la compatisco e la consolo, a che pro sono nato uomo? Tuttavia il vero motivo dei miei scrupoli è che la richiesta riguardi il denaro. È una richiesta che mi pone di fronte a lei come mendicante.» (4)

Questo trio di personaggi, che non rappresenta un triangolo amoroso, vede nel proprio centro i moti interiori di Bimala fra l’attaccamento alle proprie radici, usanze e tradizioni. Insieme a una coscienza politica, sente il risveglio del suo anelito verso l’emancipazione femminile e cercherà di risolvere quell’opposizione apparentemente inconciliabile tra la casa e il mondo, quel territorio inesplorato, denso di pericoli ma seducente. La condizione di una donna in Bengala è quella di uno degli uccelli da voliera:

«Leggendo ho scoperto che noi donne siamo definite “uccelli da voliera”. Non posso parlare per le altre, ma nella mia gabbia ci stavo bene, non mi mancava nulla e pensavo che nell’universo non ci fosse posto anche per la mia gabbia. All’epoca erano questi i miei sentimenti.
La nonna, alla sua veneranda età, ci teneva molto a me. Alla base del suo affetto c’era il pensiero che fossi stata capace – grazie alla configurazione propizia delle stelle che mi aveva assistita – di attrarre l’amore di mio marito.» (5)

Nikhil è il personaggio più moderato, onesto e idealista e auspica un’unione matrimoniale completa e libera varcando i confini del quotidiano, un cambiamento che rischia però di sovvertire completamente la vita e le priorità della donna.

«”Bimala. Perché dovrei tenerti chiusa in gabbia? So bene che ne soffri e ti consumi”.
È rimasta immobile, in silenzio, senza alzare lo sguardo.
“So che se insisto a tenerti incatenata anche la mia vita si ridurrà a una catena. Che piacere potrei trarne?”.
Silenzio.
“Quindi ti dico: sei libera. Qualunque cosa sia stato per te, non voglio essere la tua catena”. Detto ciò sono rientrato nella parte maschile della casa.
No, non è stato un moto di generosità a dettare le mie parole, e neppure l’indifferenza. Ho semplicemente capito che non sarò mai libero se non lascio liberi gli altri.» (6)

Non c’è una vera e propria azione nel romanzo, se non nei flussi di coscienza che si alternano in capitoli che vedono il punto di vista dei personaggi ordinatamente. Sullo sfondo il Bengala con le sue tradizioni letterarie, mistiche e domestiche.

L’atmosfera intima della narrazione, la poesia di alcune frasi e l’elegante narrativa rendono l’animo umano quasi intellegibile. I sentimenti e i personaggi sembrano così attuali che un lettore del 2020 può riconoscersi in loro. Bimala che con i suoi moti interiori non sa dove ai trova:

«Sono lontana da tutti. Vivo e mi muovo sull’orlo di un abisso di separazione vasto come il mondo, precaria come una goccia di rugiada sulla foglia del loto.» (7)

Bimala, in mezzo alle due visioni contrapposte del mondo delle altre due voci, dà dinamismo e vitalità al romanzo: è lei che cambia, si evolve,  agisce e si pente, si entusiasma e si ricrede, con gesti concreti che le fanno prendere consapevolezza di sé e muovono i fili dell’azione. È simbolo dell’India desiderosa di cambiamento, ma nello stesso tempo timorosa, insicura. “La casa e il mondo”, pubblicato per la prima volta nel 1916, è un romanzo affascinante con pathos, in grado di farti smuovere coscienza e stomaco. Una storia di libertà, tradizione, difetti e virtù umani, redenzione e coscienza. È il romanzo della fallibilità umana. Forse solo l’integrità e la coerenza verso sé stessi possono salvare.

Note

(1) Rabindranath Tagore, La casa e il mondo, Fazi Editore, 2020, pag. 6

(2) Ivi, pag. 30

(3) Ivi, pagg. 13-14

(4) Ivi, pag. 40

(5) Ivi, pag. 8

(6) Ivi, pag. 45

(7) Ivi, pag. 63

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.