Tra lirica e pandemia: evoluzione digitale nell’era Covid

È di qualche giorno fa la notizia della cancellazione causa Covid dell’intera stagione operistica del Metropolitan Opera di New York, rimandando l’apertura almeno al 2021. Questa débâcle era attesa da tempo e visti i numeri di contagi in risalita non poteva – purtroppo – essere altrimenti. Una sconfitta che gli esperti del settore vedono come un campanello di allarme, soprattutto qua in Italia, dove il settore soffre da tempo di una profonda crisi e dove si teme di non controllare una seconda ondata.
Già dal lockdown abbiamo assistito a fenomeni di resistenza culturale, dai musei digitalizzati alle esibizioni in videochiamata, fino ai concerti nelle piazze vuote o dai balconi. Oggi però, la storia è diversa, perché quel mondo culturale sotto assedio sta tentando di passare al contrattacco, per ridefinire un’idea culturale digitale.
Prima però chiariamo subito un punto: non stiamo parlando del non plus ultra dei teatri d’opera, La Scala di Milano, la cui fama internazionale gli conferisce un pubblico globale, incassi da capogiro e l’immunità a qualsiasi crisi. Bensì di tutti gli altri teatri importanti dal punto di vista storico e culturale, dove la pandemia ha rappresentato nient’altro che l’ultimo colpo (speriamo non di grazia) a un settore da diverso tempo in crisi, vittima di quel pregiudizio, del quale siamo tutti un po’ colpevoli se non altro per non averlo costantemente rinnegato o osteggiato, secondo il quale con la cultura non si mangia.
Come il San Carlo di Napoli. Teatro fondato il 4 novembre 1737, voluto dal re Carlo III di Borbone, è il più antico teatro lirico del mondo, un tempo principale competitor proprio de La Scala di Milano. Ed è l’obiettivo del nuovo sovrintendente Sthéfane Lissner rendere nuovamente il San Carlo il principale concorrente de La Scala, indipendentemente dalla situazione pandemica che stiamo vivendo.
Tramite il ciclo di incontri Festival della Scienza e della Ricerca 2020, organizzato dal dipartimento Disucom dell’Università della Tuscia, interamente online sulla piattaforma Zoom o in diretta su youtube, ho avuto modo di assistere alla conferenza del professore Dinko Fabris dal titolo Le sfide di un teatro d’opera nella crisi globale del 2020: il San Carlo di Napoli. Dinko Fabris è musicologo di fama internazionale e dal 2020 è Responsabile scientifico del nuovo dipartimento di Ricerca, Editoria e Comunicazione proprio del Teatro San Carlo di Napoli.


Tocca quindi con mano la crisi del settore, aggravata ancor più dalla pandemia. Come responsabile scientifico, è dunque suo il ruolo di cercare di arginare la crisi, percorrendo strade nuove per risollevare il settore e dare nuova linfa vitale.
Tre sono le parole chiave del progetto: Ricerca, Didattica e Solidarietà. Tre linee guida che hanno lo scopo di indirizzare tutti gli sforzi del dipartimento. Immaginare quindi un futuro collettivo, puntando sulla formazione, non tralasciando però di trascinare con sé tutte quelle realtà che la crisi e la pandemia hanno spezzato e lasciato inermi.
Le proposte del professor Dinko Fabris sono interessantissime, alcune più rapidamente attuabili, altre richiedono un’azione più prolungata nel tempo e, soprattutto, una volontà politica. Vediamone qualcuna.

  • Dotare il teatro d’opera di telecamere di ultima generazione

L’ipotesi più facilmente realizzabile, a mio avviso; abbiamo tutti in mente la prima della Scala della Tosca del dicembre 2019 (sembra passata una vita), dove la qualità delle immagini hanno reso l’azione del teatro dinamica e non statica, come eravamo abituati finora. Le riprese cinematografiche, la qualità della resa audio e video, l’hanno resa un’esperienza piacevolissima anche da casa.
Questa è la strada maestra e non solo per la pandemia, ma per il futuro in generale: sarebbe un sogno poter assistere comodamente da casa a eventi di questo tipo, anche pagando un abbonamento per lo streaming. Nulla può sostituire la visita dal vivo, ma d’altro canto seguire le varie stagioni operistiche richiede una spesa economica ingente, soprattutto se non si è residenti nelle vicinanze del teatro. Senza contare che una maggiore affluenza di pubblico in digitale non comporta inevitabilmente un calo del pubblico in presenza. La cultura deve appropriarsi degli spazi digitali e degli spazi sui social, e deve farlo quanto prima: il ritardo è mostruoso e figlio di una concezione di cultura che non include i Millenial o la Generazione Z nel proprio comparto. La pandemia ha fatto sì che musei e teatri si accorgessero della mancanza di capacità digitali, che sono fondamentali per rimanere al passo coi tempi. Non sprechiamo altro tempo.

  • Formare e creare una nuova figura professionale per le fondazioni liriche

Una figura cioè che sia dotata sia di conoscenze del mondo teatrale, sia di conoscenze digitali (competenze cnc e digital manufacturing). Naturalmente qui Dinko Fabris strizza l’occhio al mondo delle università, spesso accusato di essere troppo distante dalla realtà del mondo lavorativo. Viene da chiedersi però se formare una figura professionale così marcata per un settore di lavoro così ristretto sia davvero la strada giusta da percorrere o se sia preferibile a questo punto creare dei canali di inserimento nel mondo lavorativo dei teatri che includano corsi di specializzazione in tal senso. È un bene che ci si attivi comunque in tal senso.

  • Ecosistema Napoli: spazi rigenerati di Vigliena

È forse l’idea più lodevole proposta dal professore Dinko Fabris, e che centra pienamente l’obiettivo della solidarietà. Un teatro che sia motore di una rigenerazione del territorio circostante, puntando alle realtà più degradate. Avviare cioè un progetto di rivalutazione sostenibile, puntando alla creazione di laboratori e officine artistiche, spingendo inoltre alla realizzazione di un polo tecnologico. Vigliena, quartiere degradato di Napoli Est, è l’obiettivo della riqualificazione proposta. Non si può che plaudere a questa iniziativa.

Non possiamo che sperare che il modello di teatro proposto da Fabris possa prendere piede e avere successo in Italia. Le buone intenzioni ci sono tutte, e la volontà non è certo da meno. Da parte mia e sono certo di tutta la redazione non possiamo che augurare il meglio a questo progetto, con la speranza che il risveglio digitale di teatri e musei avvenuto nel lockdown non si sciolga come neve al sole una volta che questa pandemia sarà passata. Con i tempi che corrono, c’è sempre più bisogno di cultura.


Photocredit: Donald Tong su pexels.

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