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André Derain, l’artista dimenticato ora in mostra

Compagno di creazioni e amico di Matisse, Picasso, Braque e Giacometti, André Derain rimane comunque uno degli artisti e scultori meno conosciuti del Novecento. Eppure, è stato erede dell’Impressionismo, l’iniziatore del Fauvismo e uno degli artisti a cui il Cubismo più deve: «il Cristoforo Colombo dell’arte moderna», come lo aveva definito Gertrude Stein. Se la sua lezione non è mai andata perduta e ne possiamo trovare tracce in tutte le maggiori correnti artistiche del primo Novecento, dov’è finita la sua memoria?

Gli anni con Matisse e l’esperienza Fauve

Nato nel 1880 a Chatou, piccolo paesino nel nord della Francia, André Derain riceve tutti gli studi tipici di un’educazione borghese. Il padre lo vorrebbe ingegnere, ma André fugge dalle lezioni per poter frequentare invece l’Accademia. Il richiamo di André Derain per l’arte sembra quasi la risposta inevitabile al genius loci: poco lontano da casa sua c’è l’île de Chatou, luogo di ritrovo privilegiato di alcuni pittori che qui cominciarono a studiare gli effetti della luce sull’aria e la natura, tanto che fu poi soprannominata l’île des impressionnistes; lungo le sponde della Senna si esercitano anche Monet, Renoir, de Vlaminck.

Con quest’ultimo, che conosce dall’anno prima, Derain apre uno studio proprio sull’isola nel 1900, creando un centro dover poter sperimentare liberamente con il colore. Nasce cosi la Scuola di Chatou, dove possiamo riscontrare le prime avvisaglie di un distaccamento dagli Impressionisti sempre più deciso. Ma è soprattutto la conoscenza di Henri Matisse, sempre all’inizio del Nuovo Secolo, a dare la spinta decisiva ad André per dedicarsi completamente alla pittura.

Insieme iniziano a dipingere paesaggi marini a Collioure, poi André sperimenta anche con le vedute cittadine di Londra, su commissione del mercante d’arte Ambroise Vollard.

Nel 1905 è prima al Salon des Indépendants e poi al Salon d’Automne, dove a lui e ad altri pittori francesi viene assegnato il nome «fauves»: in senso dispregiativo, per indicare il modo concitato, quasi bestiale e ferino, di stendere le pennellate di colore, un’enfasi che dalla tela investe lo spettatore (e il critico) conquistandolo, non lasciandolo mai indifferente.

Ma André non può fermarsi qui: ha bisogno di continuare a sperimentare. La sua vera vocazione non è sviluppare uno stile artistico, ma usare l’arte come un linguaggio.

La crisi, i classici, Gauguin e Picasso

Già nel 1907 il titolo di Fauve comincia a stargli stretto: guarda con interesse la lezione di Gauguin per l’armonia delle sue composizioni, che ben si sposa con gli studi classici che ha fatto all’Accademia, mentre la passione per l’arte primitiva gli suggerisce una semplificazione delle forme. Come Picasso e Braque, André Derain comincia a farsi ispirare da Cézanne e a interpretarne gli insegnamenti, senza aderire mai veramente al neonato Cubismo. In particolare, dal 1910 Derain e Picasso iniziano anni di collaborazioni e studio dell’arte africana, che si trasformano in solida amicizia: sarà proprio Picasso ad accompagnare André alla stazione di Avignone quando sarà chiamato alle armi.

Insaziabile e infaticabile, André continua a studiare l’arte: è il 1911 quando ritorna alla prospettiva e introduce il chiaroscuro, secondo la tradizione rinascimentale, cimentandosi anche in varie nature morte. Un salto all’indietro potente, ma eseguito con assoluta maestria.
Non è l’unico a sentire questo bisogno: sono gli anni in cui Giorgio de Chirico prima e Gino Severini poi fanno di questo ritorno all’ordine un manifesto di intenti.

A quella prettamente pittorica, André affianca anche una produzione grafica e di illustrazione: tra gli altri, illustra un libro di poesie di Guillaume Apollinaire, suo amico, il primo libro di André Breton, le favole di La Fontaine, la Salomé di Oscar Wilde, un’edizione del Satyricon di Petronio, una delle Metamorfosi di Ovidio e una del Pantagruel di Rabelais.

Mentre la sua fama si diffonde in Europa e negli Stati Uniti, mentre realizza anche costumi e fondali per opere teatrali, André Derain deve giostrare allo stesso tempo la disapprovazione delle avanguardie per il suo ritorno alle origini, sempre più accentuato e deciso, che gli viene rimproverato aspramente anche André Breton e le attenzioni della Germania: il suo rifiuto del Dadaismo e del Surrealismo e la sua pacatezza, oltre alla sua affermazione a livello internazionale, sembrano interessare la propaganda nazista. Per distogliersi il più possibile dai riflettori e non alimentare polemiche, Derain rifiuta anche la direzione della scuola superiore di Belle Arti di Parigi.

La mancanza di inquietudine e di rottura nelle opere di André Derain comincia ad allontanargli i favori dei suoi storici sostenitori e ammiratori, che non riescono a vederla per quello che è: il suo linguaggio artistico, con cui esprime se stesso e filtra il mondo, con cui rappresenta ciò che conosce e vede.

Derain scultore e i rapporti con Giacometti

Già nel 1906 André Derain si avvicina alla scultura proprio grazie allo studio dell’arte primitiva, lavorando con l’intaglio sul legno e con l’arenaria, e la produzione scultorea continua a interessarlo nel tempo, come attesta la serie creata tra il 1938 e il 1940 nella proprietà di Chambourcy.

Qualche anno prima, nel 1933, Derain ha fatto la conoscenza di Alberto Giacometti: tra i due si instaura una profonda amicizia, nonostante André sia di una generazione precedente, che si consolida fino all’utilizzo delle stesse modelle, come Isabel Rawsthorne, ritratta da Derain e scolpita da Giacometti. Nonostante quest’ultimo sia passato alla storia per le proprie sottili sculture, è nella pittura che trova in Derain un maestro: «è il pittore che mi appassiona di più, che più mi ha arricchito e da cui ho appreso di più dopo Cézanne».

da sinistra, André Derain, Balthus, Alberto Giacometti e Annette Giacometti

La contaminazione tra i due è positiva e produttiva, perché è proprio Giacometti a cogliere l’intimità del rapporto di Derain con la tela: altro che opere studiate, altro che mancanza di sentimento! «Ogni opera era per lui una sconfitta ancora prima che la iniziasse» ricorda Alberto, anche per la coscienza di André di essere il solo, dei suoi compagni, a non aver continuato la strada del successo. Ed è Giacometti, alla morte di Derain nel 1954, ad aiutare i familiari a salvarne le sculture, a proteggere quella parte di memoria che non è solo quella di un’artista, ma di un’intera generazione di sperimentatori.

Per scoprire ancora più da vicino André Derain, vi consiglio la mostra appena iniziata a Mendrisio, nel Canton Ticino:

André Derain. Sperimentatore controcorrente
27 Settembre 2020 – 31 Gennaio 2021
Museo d’Arte di Mendrisio

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