Autobiografie dei famosi

Contro le autobiografie dei famosi: un manifesto

Nella sua opera più celebre, L’utilità dell’inutile  (2013), il professor Nuccio Ordine spiega che nelle democrazie mercantili, anche in tempo di crisi, non deve considerarsi utile solo ciò che produce profitto, ma anche l’insieme dei saperi “inutili” che contribuiscono a conservare “umana” l’umanità – il pensiero critico, l’arte, l’istruzione e la libera ricerca.

L'utilità dell'inutile, Ordine

Per lavoro mi capita di leggere molto e ripenso spesso alle parole del professor Ordine, soprattutto quando mi ritrovo tra le mani l’autobiografia da 250 pagine di qualche sedicente celebrità. La nostra è una “democrazia mercantile” a tutti gli effetti, dove i libri dei vip rientrano a pieno diritto nell’alveo dei “saperi inutili” – e non per faziosità verso il genere, ma perché raramente l’opera in sé ha speranza di sedimentarsi nell’immaginario comune per più di qualche giorno, o di qualche passaggio televisivo. I libri dei vip nascono per non durare, per fissare nella cronologia degli uomini un apice di notorietà, evanescente per sua stessa natura.

Nel loro complesso, i libri dei vip possono restituire, forse, lo spirito del tempo in cui sono stati concepiti, ma è verosimile che le confessioni di un tronista – in termini di “utilità” – abbiano lo stesso peso del Lessico famigliare  di Natalia Ginzburg? Per assurdo, finché esisterà un pubblico che da quelle pagine trae soddisfazione, sembrerebbe di sì.

Open, Agassi

Le memorie cartacee di cantanti, attori, youtuber, atleti e presentatori costituiscono solo un’altra forma di intrattenimento, un rubinetto aperto nel lavandino delle nostre coscienze. Viene da chiedersi, allora, se effettivamente il disappunto delle influencer che agli uomini preferiscono il cioccolato contribuisca a conservare “umana” l’umanità, e il problema sta tutto qui. Quant’è utile questo inutile? E quanto utile, invece, ambisce a produrre? Non c’è niente di male, sia chiaro: il mercato ristagna e le case editrici devono pagare le bollette, ma anche ammesso che di Open  ne esca uno ogni vent’anni, almeno non prendiamoci in giro.

La prima cosa che mi chiedo quando leggo un libro del genere è: chi l’ha scritto? Perché, tranne rari casi, in copertina ci finiscono sempre il faccione e le generalità del vip, e del ghostwriter non c’è traccia neanche nei credits, o in piccolo, laggiù in fondo, sotto il contatore delle ristampe. Lo so, il ghostwriter viene pagato proprio per scomparire dietro il botox delle celebrità, e probabilmente non sta di casa in un sottoscala di Nuova Delhi, come me lo sono sempre immaginato. Che strana, però, la vita del ghostwriter, famoso senza esserlo davvero, altro da sé per professione, obbligato dalle circostanze a scrivere di esperienze che non ha mai vissuto.

Ghostwriter

Un aspetto, in particolare, che torna comodo ai ghostwriter mi rende indigesti i libri dei vip: la scrittura. Le autobiografie dei famosi sono tutte uguali, nessun guizzo, nessuna trovata ingegnosa, ma un sovrabbondare di metafore e iperboli, diluite talvolta con un tono impersonale, da agenzia di stampa, altre volte con un registro volutamente più basso, informale, a simulare la confessione a cuore aperto. Immagino queste frasi avvolte dalle nebbie dell’epica, canti di vite straordinarie a metà fra il poema cavalleresco e la canonizzazione – tanto da chiedermi se sia tutto vero o se sono io ad avere una vita mediocre.

Sceneggiatori Boris

I libri dei vip sono democratici, accessibili, un “viaggio dell’eroe” dove il ricordo di un pallone che manda in frantumi una finestra, in tenera età, diventa premonizione di un futuro non ordinario, e dove anche la scrittura risponde a una precisa funzione, quella di illuderci che un riscatto è sempre possibile, come nelle favole, come nella pubblicità.

Ma questa non vuol essere un’analisi bacchettona, una spacconata radical-chic (e un tantino biliosa) contro le vite romanzate delle celebrità: sono le regole dello spettacolo, un’industria millenaria che trae profitto dallo stupore. Cronache di tiktoker in ascesa, golosi retroscena sulla vita privata degli attori delle soap, storie di corna sfoggiate con orgoglio, vale tutto, non c’è differenza. I fatti non sono più importanti delle parole, perché ognuno si sceglie la verità che preferisce. Quel che conserva “umana” l’umanità è l’istinto di sopravvivenza, per cui anche il diario di un ex-gieffino è il segno materiale di una consolazione possibile.

Giulia De Lellis Libro

Ogni tanto mi chiedo se esista un cimitero dei libri, un luogo dove riposano le pagine di cui nessuno ha memoria. Porterò loro dei fiori e me ne starò in silenzio a ricordare showgirl durate il tempo di un tutorial e gamer scomparsi dalle tendenze di YouTube: chi legge, non dimentica. Purtroppo.

(l’immagine di copertina è di Wired; la vignetta del New Yorker è firmata da Christopher Weyant)

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