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La stagione più crudele di Chiara Deiana

L’estate è impietosa: rompe ogni routine e mette in discussione le regole prestabilite, viviamo nella sua anticipazione e la aneliamo per tutto l’anno, per poi farcela sfuggire tra le dita. È d’estate che Asia torna al paesino della sua nonna paterna dove ora vive anche il padre, che si è separato dalla madre. È il momento in cui, dopo un anno, Asia torna a confrontarsi con la se stessa di dodici mesi prima, quella che la sua famiglia e i suoi amici estivi ricordano e che aspettano. Ma la stagione più crudele, che dà il nome al libro di Chiara Deiana (Mondadori, 2021), è l’adolescenza: è a questa nuova età che si sta affacciando Asia, con difficoltà e insicurezze, e che sente dovrà attraversare a denti stretti e i pugni in avanti, per difendere la parte più nascosta di sé, quella che può rivelare a poche persone.

Una di queste è Matilde, l’amica che Asia sta aspettando e con cui si ricongiunge ogni estate per vivere grandi avventure in mondi paralleli creati con la loro fervida fantasia. L’aspetta girando per il paesino con la sua mountain bike viola, ascoltando i Nirvana e mangiando la bistecchina che prepara la nonna, sentendosi sola ma speranzosa, incompresa e allo stesso tempo parte di qualcosa. E quel qualcosa è un cerchio stretto che ha formato con Matilde, un patto di sorellanza e di appartenenza, con tanto di nomi in codice che riprendono quelli dei protagonisti dei libri di Jack London: Buck (Il richiamo della foresta) e Zanna Bianca (dall’omonimo romanzo).

«Ora è ufficiale, siamo sorelle di sangue» aveva detto Asia.
«No, molto meglio, siamo un branco. Sorelle di muta.»

Chiara Deiana, La stagione più crudele, p. 33

A parte Matilde, Asia non si sente capita da nessuno. Anche Mattia, che ha fatto parte del branco per poco e che vive in paese, sembra essere cresciuto troppo: ora sta con i ragazzotti bulli che parlano di sesso apertamente e fumano sigarette di nascosto dagli adulti. È ormai ben lontano dai mondi fantastici che Asia e Matilde costruiscono con cura e in cui si muovono con sicurezza. Con il mondo reale, invece, Asia si sta trovando sempre più in difficoltà. Si sente estranea al linguaggio degli adulti e quello dell’infanzia non lo parla più con nessuno: è sospesa in questa fase, in attesa di un rito di passaggio.

È nel bosco, luogo d’elezione di leggende, mitologia e fiabe, in cui si avventura in attesa di Matilde che Asia scopre qualcosa di inaspettato: un uomo morto. È un contatto potenzialmente traumatico, che tuttavia è inquietantemente rassicurante per Asia: è un adulto che non potrà ferirla, non è pericoloso, si lascia avvicinare, osservare e muovere come Asia desidera. Inizia una sorta di codipendenza da D – scopriamo che è questa l’iniziale dell’uomo nudo, quando Asia rinviene un orologio con incisione – e sente quasi un senso di responsabilità nei suoi confronti: deve prendersi cura di lui, dal ripararlo dalle intemperie al chiudergli gli occhi e la mandibola.

Il segreto di D viene rivelato a una sola persona: Matilde. Nonostante Asia pensi più e più volte a condividere la scoperta con la sua famiglia (o quel che ne rimane) e con altri del paese, come Andrea, è con Matilde che Asia riesce ad aprirsi a costo di mettere in pericolo la loro amicizia. Ma la polizia inizia a indagare grazie a (o per colpa di?) una soffiata e Asia stessa è impegnata a cercare di mettere assieme i pezzi – della storia, dei rapporti, di se stessa. Gli indizi però non combaciano e le strade iniziano a divergere.

Chiara Deiana gioca con noi, dall’inizio alla fine, disseminando tracce e aprendo strade che non portano da nessuna parte: sono stata fermamente convinta almeno due volte di aver individuato l’assassino di D, ho visto formarsi all’orizzonte tre catastrofi che poi non si sono realizzate, ho apprezzato gli accenni di side storyline – come il quaderno di appunti e studi anatomici del nonno: Chiara, dicci di più – e con frustrazione sono rimasta aggrappata ai loro moncherini. La stagione più crudele funziona al contrario dei grandi gialli: nulla combacia dall’inizio alla fine ma tutto devia, i dettagli sfuggono e sfumano, dal bosco si esce trasformati – e non sempre del tutto vivi.

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