HappyNext: alla ricerca della felicità con Simone Cristicchi

La felicità. Cosa significa? Ognuno di noi si è fatto un’idea all’incirca ma nessuno lo sa davvero. C’è chi dice, come nel testo di una canzone dei Fast Animals and Slow Kids, che “forse non è la felicità ciò che voglio, ma il percorso per raggiungerla”.

Per gli antichi greci c’era l’eudemonologia, ovvero la scienza della felicità. L’eudemonìa [dal gr. εὐδαιμονία, der. di εὐδαίμων «felice», comp. di εὖ «bene» e δαίμων «demone; sorte»], nel linguaggio filosofico, è la felicità intesa come scopo fondamentale della vita. In parole povere, per i greci, felice era chi aveva un buon demone, che lo accompagnava nella vita, e più questo era buono, capace, valido e più la vita sarebbe stata maggiormente degna di essere vissuta grazie ai segni che il δαίμων mediava. Per gli antichi romani invece l’etimologia della parola felicità ha a che vedere con fertilità, e la sua radice verbale indoeuropea è la stessa di fecundus. Usavano la parola felix non tanto per i suoi risvolti psicologici ed emotivi, ma come aggettivo per indicare un albero che dava tanti frutti (arbor felix), o una terra particolarmente ricca e generosa.

Oltre i miti occidentali, Simone Cristicchi sceglie di provare a spiegare cosa la felicità rappresenti per lui con il libro HappyNext. Alla ricerca della felicità (La nave di Teseo, 2021). Non a favore di facili entusiasmi e conclusioni affrettate, ma attraverso la filosofia e la meditazione, Cristicchi come un cercatore accompagna il lettore in un percorso composto da bellezza, vitalità, tempo, senso di appartenenza e di comunità, musica e storie – troviamo infatti aneddoti, racconti e interviste di varie personalità pubbliche nella seconda parte del libro (come Guidalberto Bormolini, Giulio Mogol, Antonio Calenda, Chandra Livia Candiani, Gianluca Nicoletti, Nicola Brunialti, Nadiamaria, Vincenzo Costantino alias Cinaski e Franco Arminio).
Ispirandosi a Comizi d’amore di Pasolini, Cristicchi crea un percorso in sette parole chiave, una per capitolo: attenzione, lentezza, umiltà, cambiamento, memoria, talento, noi.

«Le ho trovate disseminate sul sentiero, sono spiccate tra le tante altre perché, al termine dei miei numerosi e variegati incontri, sono risultate le più ricorrenti.

Ognuna di queste parole ha bisogno dell’altra, e tutte insieme formano l’impalcatura dell’uomo che vorrei arrivare a essere

Simone Cristicchi, HappyNext. Alla ricerca della felicità, pag. 14

Non so voi quanto conosciate il cantautore Simone Cristicchi, ma a me è capitato di riscoprirlo ogni volta che avevo bisogno di lui in un certo senso.

Simone Cristicchi

Quando ho ascoltato alcune delle sue ultimi canzoni un paio di anni fa, ho scoperto testi bellissimi e profondi, o forse ero io che volevo leggerci in quel momento dei messaggi significanti per me. Ma soprattutto quando ho scoperto la sua canzone Lettere dal Manicomio e il suo libro Centro di igiene mentale – Un cantastorie tra i matti, nel 2011 stavo scrivendo la mia tesi di laurea triennale in storia della psicologia e ci avevo trovato un nesso.

Tornando a questo suo ultimo libro, Cristicchi scrive di aver preso spunto da uno di quei stati di gioia in cui non avverti più mediocrità, finitezza o mortalità. Per me sono stati di pace momentanei, come quando ammiri un tramonto o un paesaggio in montagna.

Cristicchi ci guida quindi lungo un percorso fatto di parole, racconti e passaggi logici. L’attenzione, per esempio, è una parola importante perché ci rende vivi. Ed essere attenti oggi non è facile tra la complessità del mondo, in cui un flusso incessante di informazioni non troppo importanti occupano importanti spazi del nostro tempo, e la digifrenia, cioè la compulsività digitale. Il passato è a portata di clic, sullo stesso piano del presente, e il futuro è condizionato, indirizzato dagli algoritmi. Siamo così bombardati dai richiami del superfluo e dalla pubblicità che non ci facciamo più caso e finiamo per essere disattenti, non viviamo “qui e ora”. E se affiancassimo all’attenzione anche curiosità e stupore, riusciremmo a essere finalmente felici.  

La lentezza, legata al concetto di qualità, vuol dire fare una cosa alla volta piegando il tempo, non facendo meno cose. Andiamo di fretta per inserire in agenda nuovi impegni. La verità è che più andiamo di fretta, più perdiamo tempo. Per Cesare Pavese la noia e l’insoddisfazione sono la molla di qualunque scoperta, in fondo rallentare è come ricominciare, riscoprire delle capacità sepolte.

Per ricevere bellezza e conoscenza dalla natura e dagli altri, dovremmo essere come un campo arato e aperto per  ammettere prima di tutto i propri limiti e le proprie fragilità. Questo è l’atteggiamento dell’umile che vive il mondo per viverci dentro senza fare il prepotente. Essere umili significa anche saper dire grazie. 

«È difficile stare nella tempesta e mantenere la rotta, quando sbatti contro il muro dell’invisibile, quando ti trovi davanti a eventi laceranti che sfuggono a qualsiasi razionalità, come fossero codici segreti che all’umano intelletto è negato decifrare.

Arrendersi a questo mistero, “esserci” come presenza, abitare quel dolore fino in fondo, mi sembra l’unica àncora di salvezza. Le trasformazioni ci travolgono e resistere a un cambiamento ineluttabile non fa che renderlo ancor più doloroso. Non possiamo trovare un senso a tutto, forse perché “tutto ha un senso”.»

Simone Cristicchi, HappyNext. Alla ricerca della felicità, pag. 51

Il cambiamento ci terrorizza perché come uno tsunami fa crollare le nostre strutture rigide, le idee fisse, i dogmi che bloccano cuore e mente. Eppure di fronte anche al più ineluttabile e certo fra i cambiamenti, come la morte, spesso non lo accettiamo. Ma se rifiutiamo questo tipo di cambiamento non riusciamo ad apprezzare la vita stessa. Cristicchi dedica i capitoli successivi anche alla memoria, sia storica che individuale (legata al valore del nostro passaggio sulla Terra), e al talento, quella cosa innata, una sorte di dote, che semplicemente non è in vendita. Il talento è quella cosa che quando la esercitiamo ci sentiamo felici perché esprimiamo la nostra potenzialità, tirando fuori dal profondo di noi stessi i nostri frutti, per poi condividerli con gli altri. Il talento ha bisogno di accompagnarsi all’umiltà e al Noi.

«Io credo che ci si senta un noi quando si capisce di appartenere alla grande famiglia dell’Umanità e che il diverso è comunque un fratello, chiunque esso sia; che ogni forma di vita su questo pianeta ha senso di esistere; che ognuno di noi, centravanti o riserva in panchina, deve dare il suo contributo alla squadra. Non c’è azione individuale che non si ripercuota sulla collettività. Non c’è sofferenza personale che non intacchi in qualche modo gli altri. Diceva Gandhi: “Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi.”»

Simone Cristicchi, HappyNext. Alla ricerca della felicità, pag. 88

Non esiste una strada univoca per la felicità, ognuno ne ha una giusta solo per sé. Per Cristicchi siamo nati per essere felici ma tanti sono gli ostacoli per arrivare alla meta. Per quanto mi riguarda, ammiro la sua ottimistica fiducia nell’umanità. Mi sono sentita allineata in molti dei passaggi, ho fiducia come Cristicchi nella vita e nella felicità intesa come il percorso fatto di azione, invenzione, produzione, cambiamenti, e molto altro che ci porta alla nostra vera essenza. E voi che ne pensate? Qual è la vostra idea di felicità?

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