Generazioni sulla Linea nel primo romanzo di Lucio Pellegrini

Lucio Pellegrini è un regista di attori. Guardando film e serie da lui diretti, o avendo la fortuna di vederlo al lavoro sul set, risulta chiaro come l’elemento umano sia sempre al centro del suo lavoro; e come, nel suo modo di raccontare storie, il rapporto con la fisicità dei personaggi, e di chi li interpreta, venga prima di qualsiasi arzigogolato movimento di macchina. Una coerenza tematica e stilistica che è un piacere ritrovare leggendo il suo romanzo La Linea, edito da La nave di Teseo, convincente opera prima che utilizza il filtro delle vite dei suoi personaggi per raccontare, su uno sfondo tanto accennato quanto ingombrante, gli ultimi ottant’anni di Storia italiana.

Lucio Pellegrini (profilo Facebook)

La Linea prende forma attraverso l’albero genealogico dei Mattei, famiglia disfunzionale e anaffettiva che ha il suo centro gravitazionale nell’amore predestinato di Angiòla, donna in precario equilibrio tra la tendenza anarchica alla fuga e il bisogno di dare un qualsiasi ordine agli eventi, e Stelio, architetto visionario poco incline al compromesso e consapevole della sua grandezza. Un’unione totalizzante, basata sulla comune e ossessiva ricerca della perfezione e del successo, che li ha portati a sacrificare tutto ciò che sono stati prima del loro incontro e a mettere al mondo figli così schiacciati dalle aspettative, da essere consciamente destinati al fallimento.

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Ogni capitolo del libro è dedicato a un giorno particolare nella vita di un personaggio, ed è proprio questa non linearità strutturale – unico arzigogolo stilistico che Pellegrini si permette – ad essere la forza della narrazione. In un continuo gioco di salti attraverso il tempo e lo spazio, dal Piemonte fenogliano della Resistenza all’Eritrea post coloniale, passando attraverso una Venezia “rosso shocking”, un socialismo in odore di Tangentopoli e la Roma tritacarne contemporanea, il lettore ricostruisce le esistenze dei Mattei e di tutti coloro che hanno avuto la sfortuna di gravitarci intorno in maniera stabile o significativa, arrivando al punto di conoscere in modo talmente capillare questi personaggi, tutto sommato detestabili tanto nella loro grandezza quanto nella loro mediocrità, da non poter far altro che voler loro bene. Sentimento che è certamente quello dell’autore, mai giudicante e sempre discreto nella scelta di un punto di vista che ponga la giusta distanza tra sé e le sue creature: sia che li accompagni con un’onnisciente terza persona, sia che li accarezzi con un’affettuosa seconda persona o sparisca, lasciandoli sfogare in prima persona.

Sarebbe troppo semplice sfruttare l’esperienza del Lucio Pellegrini sceneggiatore e catalogare come “visiva” la sua scrittura – i riferimenti cinematografici sono comunque tanti e dichiarati – ma l’abilità del Pellegrini scrittore sta proprio nel saper evocare e, allo stesso tempo, lasciare a chi legge ampi spazi di immaginazione. Si sente una certa influenza ammanitiana nel gusto per il racconto di micro-storie che cuciono alcuni pezzi di narrazione, così come si respira a tratti quell’atmosfera, malinconicamente rassegnata, che il cinema di Ettore Scola ha saputo dare alla morte dei sogni generazionali italiani.  

Già, perché come si diceva più sopra La Linea, guardandolo in filigrana, è un romanzo che parla dei fallimenti del nostro Paese, una terra senza futuro dove nessun ideale è mai riuscito a sopravvivere. La storia di Angiòla e Stelio è rappresentativa di una generazione così autoreferenziale che, dopo aver vissuto il boom illusorio del dopoguerra e giocato alla contestazione nel Sessantotto, ha dimenticato in fretta i sacrifici dei genitori e gli entusiasmi giovanili, allo scopo di perseguire il benessere senza curarsi delle conseguenze. Padri e madri che hanno regalato ai figli un avvenire senza prospettive in una società corrotta; ex-ragazzi, cresciuti con Carosello, che prendono come modello di vita la pubblicità delle pentole con la Linea di Cavandoli, cartone animato dove un omino percorre una linea infinita – di cui è parte – imprecando contro gli ostacoli che gli si parano davanti. Peccato che, quando il disegnatore offre all’omino lo strumento per superare l’ostacolo, la linea dietro di lui torni ad appiattirsi, costringendolo a vivere in un eterno presente dove il ricordo del passato non esiste e il futuro diventerà passato in men che non si dica.

La Linea
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La Linea è un libro amaro ed emozionante, a suo modo speranzoso, scritto con l’umanità che ti puoi aspettare da un regista di attori: uno che, con pazienza e pacatezza, sa dare l’azione al momento giusto, ritardare lo stop anche a costo di farti sbagliare, accogliere l’errore e, chissà, riuscire a farlo diventare qualcosa di memorabile.  

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