Il mio più grande desiderio – Tra le montagne del North Carolina

«Se tutti i nostri problemi fossero appesi l’uno accanto all’altro, io sceglierei sempre i miei e tu sceglieresti sempre i tuoi.»

Se mi avessero regalato Il mio più grande desiderio da piccola, l’avrei adorato. A partire dalla copertina che raffigura un momento tenerissimo tra una bambina e un cane. Quando ho cominciato a leggere le prime pagine, ho pensato un po’ a L’anno in cui imparai a raccontare storie di Lauren Wolk, sebbene le storie siano ambientate in epoche distanti e le protagoniste siano apparentemente diverse fra loro. L’Annabelle creata da Wolk è una ragazzina di buon cuore che vive con la sua famiglia perfetta in campagna. Non si può dire la stessa cosa di Charlie, invece, protagonista de Il mio più grande desiderio scritto da Barbara O’Connor (pubblicato in Italia da Editrice Il Castoro), che ha una famiglia spezzata e che, proprio per questo motivo, diffida di chiunque e approfitta di ogni evento per rispondere male o creare scompiglio.

Il padre di Charlie è stato rinchiuso in prigione, mentre sua madre, a causa della depressione, «passa le giornate al letto, con le tende chiuse e il comodino ricoperto di lattine vuote». L’intervento dell’assistente sociale porta alla divisione fra Charlie, undici anni, e Jackie, la sorella maggiore. Mentre Jackie, in vista del diploma e della maggiore età, può rimanere a Raleigh e vivere da un’amica, Charlie dovrà abitare in un ambiente più consono a lei, più familiare.

«È meglio restare in famiglia», aveva detto. «Gus e Bertha sono tuoi parenti.»
«Che genere di parenti?», avevo chiesto io.
A quel punto mi aveva spiegato che Bertha è la sorella di mamma e Gus suo marito. Non avevano figli ed erano felici di avermi con loro.

Il distacco dalla famiglia provoca in Charlie sentimenti contrastanti: da un lato la tristezza, dall’altro la rabbia e la delusione. A niente valgono la gentilezza, l’ospitalità e l’affetto che Bertha e Gus sono disposti a offrire alla nipote. Charlie si comporta male a scuola e a casa, risponde senza pensare e litiga con chiunque gliene dia l’occasione. L’unico a non risentire delle sue emozioni negative è Howard, un ragazzino zoppo, appartenente a una famiglia numerosa e religiosa. Già dal primo giorno di scuola, Howard si mostra comprensivo nei confronti della ragazzina, prende sul serio il compito di essere il suo Amico di Zaino per farla ambientare e sarà forse, in tutto il romanzo, il personaggio più maturo in assoluto. I compagni di classe lo prendono in giro per come cammina, ma lui non sembra curarsene, è felice di vivere tra le montagne di Colby ed è grato di ciò che la vita gli ha donato. Howard, a differenza di Charlie, è un gran chiacchierone, la riempie di domande e prova a farla ricredere su Colby. Ma Charlie detesta la piccola cittadina in cui è stata relegata, soffre perché dalla sua famiglia riceve poche notizie: il padre le manda alcune lettere striminzite dalla prigione, la madre non chiama mai, la sorella – invece – le fa qualche telefonata, ma parla solo di sé e della sua vita fantastica. Sentendosi tradita dai suoi familiari, ma al tempo stesso desiderosa di ricongiungersi a loro, ogni giorno Charlie trova una scusa per esprimere un desiderio:

Ho una lista di tutti i modi in cui si può esprimere un desiderio, per esempio quando si vede un cavallo bianco o quando si fanno volare via i semi di un soffione di tarassaco. Sulla mia lista c’è anche guardare l’orologio esattamente alle 11:11.

Il suo desiderio, però, sembra non avverarsi mai. Anche se Bertha e Gus sono simili ai genitori che ha sempre sognato, Charlie sa che non sono i suoi. E anche la presenza di Howard che è sempre al suo fianco, perfino quando riceve rispostacce, sembra non importarle. Charlie conta i giorni, non vede l’ora di tornare a casa perché Colby, nonostante possa esserlo, non è casa sua.

Ci si rende conto della cattiveria gratuita che Charlie riserva alle persone che la circondano, ma allo stesso tempo si prova tenerezza per questa ragazzina tanto da sperare che il suo desiderio si realizzi. Inoltre, si rimane affascinati dalla casa degli zii che dà sulle montagne, dalle descrizioni dei sentieri e delle passeggiate che Charlie e Howard fanno dopo la scuola. La piccola città di Colby sembra essere il posto perfetto per la protagonista che, però, continua a cogliere occasioni per esprimere ogni giorno lo stesso desiderio.

Dovevo assolutamente andare in veranda quella sera, aspettare che apparisse la prima stella ed esprimere di nuovo il mio desiderio. Magari esprimerlo due volte era il segreto per farlo avverare.

I giorni passano e, tra alti e bassi, alcune cose cambiano: Charlie si abitua alla presenza di Howard e anche alle attenzioni che gli zii le riservano. Un giorno, poi, la ragazzina avvista un cane randagio e se ne innamora a prima vista. Lo zio le dice che quel cane non si fida di nessuno e per questo non si fa avvicinare. Charlie si sente un po’ come quel cane e così decide che deve essere suo, dandogli un nome ancor prima di riuscire a prenderlo: Buonastella.

Dopo diversi tentativi di “cattura”, si instaura tra i due una fiducia reciproca e Buonastella viene immediatamente eletto membro della famiglia e Charlie pensa a come potrà portarlo a Raleigh. Anche se Bertha e Gus sono persone generose e buone, e fanno di tutto per non far pesare alla nipote la situazione familiare in cui si trova, Charlie è convinta che prima o poi tornerà a casa e che le montagne di Colby diventeranno un ricordo lontano. La sicurezza di Charlie, però, inizia a oscillare perché il tempo passa e nessuno viene a riprenderla fino a quando accadranno diversi eventi che la costringeranno a riflettere e a prendere una decisione.

All’inizio scrivevo che Annabelle e Charlie sono due protagoniste apparentemente diverse perché, in fondo, sono animate dal coraggio e dalla consapevolezza che anche nell’età preadolescenziale si è costretti a prendere delle scelte, che a volte è buona cosa seguire l’istinto e fidarsi di sé stessi. A Charlie serve più tempo perché non riesce ad accettare di far parte di una famiglia i cui pezzi sono sparsi come un puzzle. E non è facile accettare la realtà, spesso le cose non sono come sembrano, ci piace pensare che sia così e basta. A volte questo ci salva dal baratro ma è soltanto un’illusione perché a un certo punto la vita – quella vera – abbatte tutte le bugie che ci siamo raccontati per stare meglio. Barbara O’Connor descrive molto bene la diffidenza e lo sconforto di Charlie, li rende autentici e il lettore non può che entrare in empatia con lei, anche se a volte è ingrata e scontrosa.

Questo romanzo ci ricorda quanto sia importante la semplicità, quanto un paesaggio possa suggestionarci e rasserenarci, ma soprattutto ci ricorda che spesso quello che desideriamo lo abbiamo davanti agli occhi e non ce ne rendiamo conto.

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