Tiziana per la prima volta – Una conversazione con Tiziana Lo Porto

Tiziana Lo Porto l’ho conosciuta a scuola, nel 2014, dove lei teneva un corso e io studiavo una cosa che aveva un nome strano — Real World — e che provava a insegnare a scrivere storie vere come se fossero romanzi. Insomma era un master in Narrative non-fiction e Tiziana era stata invitata a insegnare lì perché, tra le altre milioni di cose che faceva, aveva scritto un tipo di libro che, al tempo della sua pubblicazione, 2011, in Italia si era visto molto poco. Il libro si chiama Superzelda — La vita disegnata di Zelda Fitzgerald, che è stata definita una biografia a fumetti, ma che per quanto riguarda questo Osservatorio di Narrativa non-fiction è un’opera ancora più complessa.
La voce di Tiziana è tagliente e autorevole, e anche piuttosto punk.

Che cosa stiamo cercando di fare qui, infatti? Da un lato l’Osservatorio collettore, il bacino di autori e autrici non-fiction italiana, sempre più ampio. Dall’altro c’è il bisogno di intercettare i guizzi, gli spostamenti, i tentativi di forzare il canone del “raccontare la realtà” di questi ultimi anni. E vedere dove ci portano.

Forzare la realtà è un compito complicato. È più importante riportare fedelmente un dialogo che sulla pagina scritta non avrà forza, oppure modificarlo, non nelle sue parti sostanziali, in modo che riporti un ritmo, una velocità e una verità che è più nelle atmosfere che nei temi trattati? Per me Superzelda è questo, la verità è contenuta nell’atmosfera e nelle vicende trattate, non nelle scene specifiche.

Che ne pensi Tiziana? Magari invece tu non pensi di aver creato un ibrido di genere, insieme a Daniele Marotta e mi sbugiardi.

D’accordo con te. Superzelda è un ibrido. L’idea di scriverlo è nata prima dall’idea di fare qualcosa su Zelda che dall’idea di fare un fumetto. Avevo lavorato con Daniele Marotta a una recensione a fumetti di un romanzo che parlava di Zelda e a entrambi Zelda stava simpatica. E personalmente ero incuriosita dal fatto che si sapesse poco di lei. La possibilità di farne un fumetto è nata dalle fonti di cui disponiamo su Scott e Zelda: i romanzi di Fitzgerald, le lettere di entrambi, ma anche una gran quantità di foto, e nessuna immagine in movimento (non ci sono filmati di loro due, a parte pochi secondi in Costa Azzurra e Scott che scrive in giardino, altrimenti avrebbe funzionato di più un documentario). La possibilità di ridisegnare tutto quel materiale iconografico è sembrata interessante sia a me che a Daniele. E io personalmente cercavo una verità poetica sulla vita di Zelda, che è quella che poi abbiamo raccontato nel libro. Quando sono andata a presentarlo a casa di Zelda, in Alabama, sono venute a sentirmi alcune signore anziane che da bambine erano amiche di Scottie, la figlia di Zelda, ed erano d’accordo con la mia versione di Zelda.

Sicuramente in Italia la non-fiction non ha attecchito con la forza con cui si è sviluppata negli Stati Uniti, e in generale nei paesi anglosassoni, raggiungendo picchi di raffinatezza e stimolando grandi dibattiti. Secondo te perché ci riescono più facilmente? è solo perché la narrative non-fiction è nata lì o c’è una componente culturale?

Negli Stati Uniti nel 1966 è uscito “A sangue freddo” di Truman Capote, e quel libro ha cambiato il paesaggio della letteratura. Capote è stato tra i primi a mescolare narrativa e non-fiction, dando pari rilevanza a forma e contenuto (se hai una storia potente devi trovare una forma altrettanto potente per raccontarla), e dopo di lui altri scrittori americani lo hanno fatto con successo. Ma anche in Francia negli ultimi anni sono stati pubblicati libri di narrativa non-fiction importanti. Mi viene in mente “HHhH” di Laurent Binet (è un libro bellissimo) e poi Emmanuel Carrère con “Limonov”. In Italia il mercato editoriale forse è più rigido, non so. Non ho una buona opinione (con le sue eccezioni, certo) della narrativa italiana contemporanea, fiction e non-fiction che sia, e cerco di leggerne il meno possibile.

Secondo te è un caso che la maggior parte dei libri di non-fiction italiana ultimamente siano scritti da donne? Penso ai memoir come La straniera di Claudia Durastanti, o La più amata di Teresa Ciabatti entrambi finalisti al Premio Strega, o a La ragazza con la Leica di Helena Janeczek che addirittura lo ha vinto lo Strega, o anche il più recente Svegliami a mezzanotte, di cui abbiamo parlato qui su Tropismi, ma ci sarebbero tanti altri esempi.

Ma no, c’è “La scuola cattolica” che è uno dei migliori libri di narrativa non-fiction scritto negli ultimi anni, e l’autore è Edoardo Albinati che è un uomo. La divisione in letteratura femminile e maschile è sempre pericolosa e molto relativa. Se parti dalla teoria che sono più le donne a scrivere non-fiction troverai più donne. Prova a fare il contrario e vedrai che troverai più uomini. Separare in uomini e donne avrebbe una qualche validità se vivessimo in un mondo distopico in cui sin da bambine fossimo costrette a leggere solo libri di donne, e i maschi solo libri di uomini. A quel punto potremmo confrontare i risultati e vedere cosa succede. Ma io sono cresciuta leggendo Stephen King, Edgar Allan Poe e Italo Calvino, e credo mi abbiano influenzato più di quanto non abbiano fatto Elsa Morante o Margaret Atwood. Leggo anche io moltissimi libri scritti da donne, amo le poesie di Emily Dickinson, semplicemente non mi fermo a farci sopra un ragionamento di genere.

Sylvia Plath disegnata da Tiziana Lo Porto

Touché. Però vorrei smarcarmi dal concetto di letteratura “femminile” perché davvero non era quello intendevo, mi limitavo a osservare che la maggior parte dei memoir che hanno avuto coraggio e la spietatezza di imporsi negli ultimi anni sono scritti da donne e ho una mia opinione al riguardo, però hai ragione, ti ho messo in bocca una mia idea.

In Cinema la prima volta: Conversazioni sull’arte e sulla vita, la biografia di Bernardo Bertolucci che tu hai curato c’è un grandissimo lavoro di ricerca e curatela e si vede chiaramente: accanto a questo avevi organizzato delle interviste per la selezione dei temi? Mi racconteresti un po’ come hai organizzato il lavoro?

In realtà ho lavorato più per intuizione che con metodo sistematico. Bernardo è stato intervistato migliaia di volte, e le sue interviste sono sempre così accurate, attente e belle che fare una selezione sembrava impossibile. Alcune delle interviste (Warhol, Aldrich e qualche altro) le ho trovate alla biblioteca del Lincoln Center, perché all’epoca vivevo a New York. Ho aperto il cassettino della lettera B della biblioteca, di quelli vecchia maniera, con le schedine di cartoncino scritte a penna, e ho trovato un tesoro di interviste. Quella fatta da Warhol per Interview Bernardo non l’aveva nemmeno mai vista. Altre me le ha suggerite lui stesso (le due bellissime di Jonathan Cott per Rolling Stones). Altre ancora erano state già raccolte da Fabien Gerard, Thomas Jefferson Kline e Bruce Sklarew in un volume di interviste a Bernardo uscito in America all’inizio degli anni duemila. La conversazione con la regista Clare Peploe, moglie di Bernardo, era già stata pubblicata in Italia in un bel volume di scritti di Bernardo che si chiama “La mia magnifica ossessione”, ma ci tenevo fosse anche in questo volume. E ho completamente dimenticato dove ho trovato l’intervista fatta da Anne Wiazemsky, che è un’altra delle mie preferite del libro e dunque è stato comunque un colpo di fortuna trovarla.

Ricordi qual è stato il primo libro di non-fiction che hai letto da ragazzina? Quali sono stati i tuoi parenti spirituali ? Padri, madri, zie e cugine?

“Noi ragazzi dello zoo di Berlino”, di Christiane F. L’ho riletto di recente e continua a essere un ottimo libro. Parenti spirituali ne ho troppi per citarli. Poi quando ero bambina mia madre scriveva tutto il tempo poesie, per cui molto arriva da lì.

Pensi che sia cambiato il modo di fare non-fiction in Italia, negli ultimi dieci anni? Pensi che il caso “Gomorra” abbia avuto un ruolo?

“Gomorra” ha sicuramente modificato il paesaggio editoriale. Come lo ha modificato Zerocalcare con i fumetti. Se un libro ha successo, molti editori cercano subito qualcosa di simile da pubblicare per ripetere il successo. Non funziona quasi mai, ma succede.

Riesci a immaginare quale potrebbe essere il futuro del genere dopo la quarantena e in mezzo a una pandemia? Su di te ha influito in qualche modo?

Non lo so. Su di me non credo abbia influito. All’inizio forse leggevamo tutti di più, ma poi sono iniziate le mille dirette Instagram, le lezioni online, le piattaforme di streaming inonandate di film e serie nuove da vedere, e non so se alla fine abbiamo letto di più. Nello specifico, non credo che il lockdown cambierà il futuro del genere narrativa non-fiction. Sì, usciranno diari delle quarantene, molti saranno brutti, ripetitivi, e ci sarà qualcosa di interessante. Ma non mi sembra che il paesaggio cambierà granché.

Nell’ultimo periodo Tiziana sta scrivendo sulle sue pagine personali dei social una sorta di micro diario giornaliero dei ricordi. Incontri con grandi star da intervistare, concerti visti dal parterre con gli amici, acquerelli, fotografie. Un Annales disordinato e caotico e pieno di vita.
Come mai ti è venuto in mente di suddividere la tua vita in pensieri, più o meno lunghi, più o meno specifici e di rilasciarlo nel flusso dei social?

Tiziana Lo Porto

Ho passato il lockdown da sola, nel mio appartamento minuscolo, e rassettando gli scaffali ho visto che ho decine e decine di quaderni che ho riempito negli anni. Scrivo sempre, diari, poesie, faccio disegni, e tutto resta intrappolato lì dentro perché sono troppo pigra per immaginare di trasformare una di queste cose in libro. Quando ho fatto Superzelda la parte più interessante è stata fare ricerche per poi scrivere, e così i libri successivi non li ho scritti, ho solo fatte ricerche (su Georgia O’Keeffe, su Truman Capote e su altra gente preferite), anche quelle rimaste intrappolate nei miei quaderni. Così, invece di continuare a riempire inutilmente nuovi quaderni, ho iniziato a postare pezzetti di vita su Instagram e Facebook. L’ho iniziato a fare dopo che il lockdown era finito, probabilmente anche perché mi ero sentita sola. I commenti e i like e i cuoricini mi mettono di buon umore.

Tre libri di non-fiction da non perdere:

Tre sono pochi, facciamo cinque: “A sangue freddo” di Truman Capote, “Just Kids” di Patti Smith, “Sentieri nel ghiaccio” di Werner Herzog, “Diari” di Sylvia Plath e “Una specie di solitudine” di John Cheever. Ma poi ci sono anche Christiane F., i “TaccuinI” di Susan Sontag, “I miei luoghi oscuri” di Ellroy, “On Writing” di Stephen King, le lettere di John Keats e quelle di Emily Dickinson, “Tra parentesi” di Roberto Bolano… Sono troppi. E questi sono solo quelli che ho letto e ogni tanto torno a rileggere.

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