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Pop Corno: Tre uomini e una gamba


Il 28 dicembre 2020 il cinema ha compiuto 125 anni: in quello stesso giorno del 1895, infatti, venivano proiettati pubblicamente i 46 secondi di quello che è considerato il primo film della storia, creato dai fratelli Lumiére. Io invece, di anni ne sto per compiere trenta e ho visto pochissimi film: Pop Corno è il mio pubblico tentativo di fare ammenda.


Quando ho chiesto consigli sui film da vedere per Pop Corno, Adriano ha suggerito subito Tre uomini e una gamba (1997). Un classico, un cult, un immancabile – che, infatti, mi mancava totalmente: e, dato che Adriano ha da poco compiuto tre(nt)uno anni, mi sembra doveroso parlare di tre uomini e di una gamba d’arte. E dei tre motivi per cui questo film è ora un cult anche per me.

È il picco dell’estate: è il 31 luglio e da Milano si stanno preparando a partire Aldo, Giovanni e Giacomo. Destinazione: Gallipoli, in Puglia, dove Giacomo sposerà la figlia (Luciana Littizzetto) di Eros Cecconi, diventando così cognato di Aldo e Giovanni, che già hanno sposato due delle sorelle Cecconi e lavorano ne Il Paradiso della Brugola, la ferramenta che il suocero ha loro affidato a Milano. Il cavalier Cecconi affida loro un ulteriore compito: trasportare anche un’opera d’arte, una gamba scolpita nel legno dall’artista Garpez, ora sul letto di morte. Il valore della scultura dovrebbe aumentare esponenzialmente e il Cecconi confida (ma non troppo) nei nostri, che stanno per attraversare l’Italia con il promesso sposo. E Ringhio – non dimentichiamoci di Ringhio.

Metadivertimento

Ma non è così che inizia il film: il primo incontro che facciamo con Aldo, Giovanni e Giacomo sul grande schermo è nei panni di Al, John e Jack, tre gangster che devono portare a termine un assassinio su commissione. Ma le cose precipitano velocemente: Jack non si sente bene, qualcuno tenta di rubare l’auto di Al e arriva il servizio in camera. Ed è così che scopriamo che questi minuti, strappati solo apparentemente alla trama, fanno parte del film che Giacom(in)o sta guardando in televisione la sera prima di partire. Ma la magia è compiuta: siamo stati introdotti al cospetto dei personaggi principali, abbiamo iniziato a intuire il loro modus operandi e, soprattutto, le dinamiche che intercorrono tra loro.

Così anche nell’incubo di Aldo, in cui veste i panni del Conte Dracula che vuole insidiare la Betty, mentre Michele e Gino lo smascherano e cercano di farlo fuori (più che altro in quanto terùn, e non come vampiro), o nella proiezione del film neo-realista di Garpelli, in cui compare Ajeje Brazorf, così iconico da meritarsi una sua pagina Wikipedia: ogni tassello che si aggiunge non è solo un divertissement (tanto per i nostri quanto per noi), ma un’apertura sul metamondo – o meglio, cinematic universe – di Aldo, Giovanni e Giacomo, che si affaccia contemporaneamente sul palco di un teatro, su una pellicola cinematografica o un programma televisivo, intessendo e tramando una costruzione di rimandi e corrispondenze perfette, creando un vero codice linguistico fatto di strizzate d’occhio che il pubblico appassionato riconosce e parla.

Battute iconiche

Dall’inganno della cadrega, che ha reso una parola milanese altrimenti sconosciuta nota e citata in tutta Italia, alla partita in spiaggia contro il Marocco per recuperare la scultura persa dieci a tre (ma si sa che «il Marocco è forte fisicamente»), fino alla peperonata («Alle otto del mattino? Mezzogiorno… Topi morti»), i nostri hanno costruito per tutto il film una solida struttura di scambi, senza mai indulgere nel gusto delle battute stesse.

Questo è il compito che spetta a noi spettatori: quello di goderci il sapore sagace e allo stesso tempo immediato dei loro dialoghi, e di tramandare le battute anno dopo anno, occasione dopo occasione, finalmente anche noi (io) messi a parte di questi riferimenti allo stesso tempo segreti e universali.

Chiara: E così domani ti sposi?
Giacomo: Sì, ma niente di serio.

Tre uomini e una gamba (1997)

Un finale (im)perfetto

Pensiamo che Chiara, interpretata da Marina Massironi – che abbiamo già visto, con Pop Corno, in Pane e Tulipani –, sia la chiave di (s)volta del film, ma sicuramente non ne è la conclusione. Perché non c’è finale più bello di questo, in cui non c’è una conclusione, ma un’apertura totale.

Giovanni sostiene Giacomo nella scelta di fare dietrofront di fronte all’ingresso della tenuta Cecconi, e non solo perché Eros li attende con il fucile imbracciato. Quello che hanno imparato durante questo viaggio è molto più che la scoperta dell’amore, molto più che l’esistenza e la forza dell’amicizia che li lega: è la possibilità. La possibilità di essere, di trasformarsi e trasformare, di cambiare idea e di cambiare percorso, e di essere comunque accolti, riconosciuti, sostenuti. Ed è questa, alla fine, l’avventura che vale la pena vivere ancora e ancora.

Curiosità: i nostri tre non si sono mai mossi di molto. Nonostante il viaggio si prospetti come una transitalica da Milano a Gallipoli, in realtà tutto il film è stato girato nel Lazio, tra Roma e Viterbo. Gallipoli è in realtà Santa Marinella (che a quanto pare è anche il titolo della canzone di Fulminacci a Sanremo?), Il Paradiso della Brugola è in via degli Ammiragli a Roma, e il lago in cui si immergono per fare un bagno è il viterbese laghetto del Pellicone, bene del FAI e, se ti sembra familiare, luogo reso celebre da Non ci resta che piangere con Benigni e Troisi.

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