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Fattə di nodi: “Il libro di X” di Sarah Rose Etter

Una malformazione che è una maledizione, un marchio che si passa di madre in figlia, che si può nascondere sotto i vestiti ma che blocca l’intimità: è un nodo semplice ma che spezza il corpo a metà, che divide la vita tra dentro e fuori, tra solitudine e socialità, tra normale e diverso. Tra donna e uomo.

Cassie è nata con il corpo annodato, come sua madre prima di lei e la nonna ancor prima: lo testimoniano i ritagli di giornale, le interviste, gli studi. Il nodo non fa molto, se non dolere di tanto in tanto. È la ricaduta che ha nelle relazioni quotidiane di Cassie che sa essere dolorosa: se la madre ha cercato di vivere in modo riparato, Cassie è inquieta, è sensuale, è desiderante nel corpo e nella mente, e lo è nonostante il suo nodo.

In Italia grazie a Pidgin e alla traduzione di Stefano Pirone, Il libro di X è il primo romanzo di Sarah Rose Etter, già autrice di una raccolta di racconti e di varie short stories pubblicate su riviste culturali: la X del titolo è quella del cromosoma femminile che porta il nodo, ma è anche simbolo del nodo stesso, di estremi che si incontrano ma che allo stesso tempo tagliano un corso naturale e bloccano.
Il racconto della vita di Cassie è intervallato da capitoli che sono elenchi di fatti tematici, quasi un modo per mettere ordine, dare uno spazio e un tempo a ciò che le accade e collegarla al resto del mondo, e altri che sono visioni, non sappiamo se sogni notturni o fantasticherie a occhi aperti, ma anche allucinazioni, in cui Cassie rielabora quello che le è successo e lo reinterpreta, lo fa andare come vorrebbe, come desidera, come sarebbe giusto che fosse.

Ha bisogno, Cassie, di evasione: la prima metà della sua vita è condotta in un paesino, tra la scuola e le pulizie di casa, con una madre piena di risentimenti e dei compagni di scuola che la trattano e considerano come la strana, mentre il padre (alcolizzato) e il fratello (dal dono speciale) lavorano in una cava di carne: ne fiutano le vene, che corrono sottoterra come fossero aurifere, affondano le mani nelle pareti come ferite aperte, estraggono pezzi di carne cruda tirandole come fossero feti pronti per nascere. Non è casualmente un compito maschile, dal quale sono escluse le donne: un’evoluzione della caccia, certamente, ma anche simbolo della violenza verso la carne femminile, inerte e sempre disponibile.

È proprio nella cava che Cassie non ottiene ciò che desidera: il suo incontro con Jarred che la lascia svuotata, quasi incosciente per lo shock e il dolore. Così inizia la febbrile ricerca di un corpo maschile che possa desiderarla, di uno sguardo maschile che la autorizzi, istigata sin dalla sua infanzia dalla madre, che sfoglia riviste di donne bionde e longilinee, dai denti perfetti e dai vestiti alla moda, che la costringe a fare diete che consistono nel succhiare pietre.

La mia tristezza ha un corpo proprio come il mio. Abbiamo la stessa forma e le stesse dimensioni. Io scavo e scavo e scavo finché non c’è una buca abbastanza grande per la mia tristezza. Getto il mio corpo nel fosso e lo copro col terreno.

Il libro di X, p. 178

Anche quando Cassie lascia il paesello per la città, si deve scontrare con la dolorosa scoperta che i meccanismi non cambiano ma si amplificano, che l’anonimato che tanto desiderava quando era ragazzina si tramuta in solitudine costante, che è ancor di più un corpo: un corpo che lavora, che cammina, che viene penetrato, la cui mente si trova sempre da qualche altra parte. In tutto questo, il nodo.

Sarah Rose Etter, fotografia di Natalie Graf

Nel Libro di X, Cassie cerca costantemente di liberarsi del proprio nodo. La madre ormai è arresa, ma Cassie no: si informa, continua a sperare, passa da un sedicente esperto all’altro che la riempiono di punture di acqua e zucchero. Il dolore nel frattempo si intensifica, sia quello fisico che quello mentale: anche quando finalmente riesce ad arrivare a un punto di svolta, l’uomo che porta a casa la guarda disgustato e se ne va. Il nodo continua a proiettare sul corpo di Cassie la sua maledizione, che non è quella di isolarla o renderla poco desiderabile, ma quella di rivelare la crudeltà della società a cui Cassie cerca in ogni modo di appartenere, i cui patti spesso deliranti è disposta ad accettare senza riserve, pur di farne parte.

Il mio cuore è un animale che ha fatto perdere le sue tracce, il mio petto un campo vuoto.

Il libro di X, p. 285

Non ci libereremo mai dello sguardo giudicante, della brama di desiderabilità e del confronto con canoni irraggiungibili, della cui ratificazione non siamo mai statə chiamatə ad avere voce. Li subiamo, ci danno forma, ci annientano nella nostra singolarità: avere un nodo rappresenta anche una resistenza, ma solo se può essere vissuta in modo pieno ed eroico, mentre il più delle volte ci sfa(nno) sentire solo sbagliatə e progettatə male.

Vincitore del Shirley Jackson Award, Il libro di X sfrutta l’allucinazione di chi ha troppa fame – di cibo, di affetto, di contatto, di accettazione – per dirci con un linguaggio diretto, doloroso e pieno di spigoli che i nodi possono essere sia fisici che intimi, sia visibili che nascosti, e, soprattutto, che saremo sempre solə con noi stessə, fino alla fine.

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