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Alla ricerca de Il ragazzo più felice del mondo con Gipi

Ho scoperto Gipi tardi, al contrario del ragazzo più felice del mondo. L’ho conosciuto – non di persona, purtroppo – per la prima volta a Bologna, in Salaborsa, mentre presentava La terra dei figli. Ci sono andata senza aver mai letto nulla di suo, entrando di lato nella sala per trovare un posto nella calca di persone che, invece, di cose sue ne avevano lette assai nel corso degli anni (bei tempi, peraltro, quelli in cui si poteva andare agli incontri e si poteva stare appiccicati a sconosciuti e ridere e annuire con loro).

Quell’incontro mi ha provato che se c’è un uomo, oggi, in grado di conquistare un pubblico in pochi secondi, quello è Gipi. Prima di tutto perché in quei pochi secondi ha detto, penso, tre parolacce. Ma con una tale sincerità, una tale bellezza, che ho pensato «così si dovrebbe sempre rispondere a una domanda di rito». Credo, infatti, che l’intervistatore gli avesse chiesto se avesse previsto qualcosa che stava succedendo in quell’anno, che era il 2016, e che veniva illustrato e raccontato ampiamente nel suo libro, al che Gipi si piega sul microfono, inspira e dice «Ma che cazzo ne so» e poi ha aggiunto «ho iniziato a lavorare a questa cosa tempo fa». Ma forse non ricordo bene e sto romanzando.

Anche Il ragazzo più felice del mondo (Fandango, 2018), secondo film di Gipi, è una storia che da molto si teneva calda sotto le braci. E Fandango lo ha reso disponibile su YouTube per farci passare una quarantena meno solitaria.

C’è un momento bellissimo. È quando ti rendi conto di avere una storia stupenda da raccontare. […] Il problema, però, è come raccontarla.

Gipi, ne Il ragazzo più felice del mondo

Tutto inizia con Gianni che si reca dal suo produttore cinematografico, Domenico Procacci, che è realmente il fondatore di Fandango, e gli illustra un’idea geniale, disruptive per il cinema italiano. Da quel momento, che già ci fa ridere a denti stretti, inizia un gioco di scatole cinesi attraverso le quali si dispiega il racconto di un Gipi a caccia di una storia, quella di uno sconosciuto che da vent’anni si finge un ragazzino, fan di molti illustratori italiani a cui scrive lettere da sincero (?) ammiratore, di cui modifica alcuni particolari per renderle più personali possibili.

Gipi è seguito fedelmente dal fonico, Davide, che spunta nei momenti più impensati ricordandoci che si tratta di un film nel film, cosicché non sappiamo più cosa si stia riprendendo davvero e cosa sia behind the scenes. E che, coerentemente alla situazione che stiamo vivendo a causa della quarantena da pandemia di Coronavirus, ha sempre in bocca il termometro per tenere monitorata la temperatura, intervallando i dialoghi degli altri con l’annuncio di un «trentasette meno uno, trentasette meno due», che ci ricorda quando eravamo bambini e credevamo di vincere la battaglia del “oggi resto a casa da scuola” togliendo linee ai 37°C invece di aggiungerle ai 36°C.

Poi c’è Gero (Arnone) – ma non sappiamo perché – che oscilla tra il cinico e il realista, che serve forse a tenere Gipi con i piedi piantati per terra o già dentro una fossa, come quando gli racconta del Canaro e dei possibili scenari a cui potrebbe andare incontro Gianni inseguendo questa storia. D’altronde, questo sconosciuto è un uomo potenzialmente pericolosissimo, come dimostra inconfutabilmente, tra le altre cose, il fatto «che viva nelle Marche, come la mia ex» dice Gero serissimo.

L’indagine di Gipi coinvolge tanti illustratori italiani, tra cui Laura Scarpa, Emiliano Mammucari e Giacomo Nanni, che hanno nel tempo ricevuto le lettere di Francesco e o le hanno guardate con sospetto oppure hanno ceduto alle lusinghe del ragazzino, che terminava ogni sua lettera chiedendo loro un disegno, perché se lo avessero fatto lo avrebbero reso il ragazzo più felice del mondo. Quello che vuol fare Gipi, però, non è trovare questo Francesco e spaccargli la faccia, come invece suggerisce Nat, ma portare tutti i fumettisti a cui il non–più–piccolo–forse–non–lo–è–mai–stato fan abbia mai scritto direttamente da lui, così che possa finalmente chiedere loro tutti i disegni che ha sempre sognato di avere.

La capacità di Gipi di vedere oltre la truffa e pensare a come Francesco abbia aiutato, in un certo senso, tanti illustratori italiani a sentirsi meno soli, più apprezzati, addirittura compresi e autorizzati nel continuare il loro lavoro e la loro carriera, quasi che Francesco in realtà avesse compiuto negli anni un servizio statale, riempie il cuore – anche quello ricamato sulle magliette del quartetto. Perché l’arte è qualcosa che non sappiamo se sia stata innata nell’uomo o da lui sia stata scoperta, ma lo ha fatto sentire meglio, più vivo, lo ha fatto diventare quello che è, e dal 2020 questo bisogno o questa vocazione va indietro nel tempo, da Matisse a Brueghel ad Antonello da Messina, fino al

primo uomo delle caverne che non ha saputo, o potuto, accontentarsi della realtà.

Gipi, da Il ragazzo più felice del mondo

I tocchi di classe si sprecano: dal primo disegno dell’umanità (che è una cosa che ossessiona Gipi da sempre, già lo raccontava nel 2013 al Post) ai cartelloni in Comic Sans che recitano ovvietà appesi in casa della sensitiva, che ha naturalmente dei coinquilini ed è, ovviamente, un uomo (Mauro Uzzeo, per la precisione), che ricorda ai protagonisti che «I tempi sono quelli che sono, e si fa quello che si può fare», ma con un accento di Roma che non so trascrivere. O il momento tenerissimo che ogni freelance ha vissuto nella propria vita, quello in cui Gipi risponde alla chiamata della Megaproduzione e si presenta al colloquio, e alla domanda «Ma lei ce l’ha il talento?» replica con un dolcissimo, innocente, rassegnato «Io non so se ho del talento, però ho portato del materiale da mostrarle».

E quando i quattro partono, finalmente, per andare a vedere in faccia questo eterno bambino malfattore, lo fanno non con il pullman delle vacanze che avevo immaginato e che da me si chiama corriera, ma con un bus da città, che potrebbe essere Tper o Atm o Atac, su cui non c’è nessun fumettista a parte Gipi.

Hai mai vissuto fuori da una storia, almeno per un momento, in vita tua?

Il ragazzo più felice del mondo

Glielo chiede Chiara Palmieri, che è la moglie di Gipi tanto nel film quanto nella vita reale. È una sorta di risveglio, di schiaffo sulla guancia, non soltanto per Gianni ma anche per noi, che manipoliamo (non per forza con cattiveria o doppi fini – ma che brutto doverlo precisare) i fatti per rappresentarli a noi stessi e agli altri, che attraverso una qualsiasi delle arti proviamo a ricreare, e quindi filtrare, quello che succede e viene sentito, in favore non della realtà ma di qualcosa di più grande che è lo storytelling, il raccontarci le cose non come sono state ma come hanno senso per noi, forse l’unica cosa che ci ha permesso di essere ancora in vita, millenni dopo i peni nelle caverne e Gilgamesh.

Alla fine, Gipi dimostra un certo rispetto per la storia. La lettera l’ha ricevuta davvero nel ’97 e davvero questo ragazzino ha continuato a scrivere, per anni, ai fumettisti italiani adulandoli. Quello che si vede nel film Il ragazzo più felice del mondo è la rimessa in scena di quanto poco prima era successo realmente, di quanto si era scoperto nel corso delle indagini che Gipi stava conducendo per la realizzazione del documentario che in origine doveva costituire l’opera. Ma poi tutto ha preso un’altra piega, sia per la privacy che per la resa cinematografica. In fin dei conti, quello che si doveva produrre era un film basato su una storia vera. Come fare, senza nemmeno poter nominare o indicare il vero protagonista?

«Quando io ho finito una storia, ho finito il desiderio per quella storia» ha detto Gipi in un’intervista: Il ragazzo più felice del mondo è mutato allora, all’inizio forse inconsapevolmente, da documentario a occasione per liberarsi da un’ossessione, da qualcosa di inspiegabile e rimasto irrisolto, un po’ come gli aveva “letto” Mauro Uzzeo durante la seduta. È contento quindi Gipi, per autocitarlo, di poter salutare Francesco, aver finito le riprese e poter iniziare un nuovo lavoro con Domenico Procacci?

L’unica cosa che mi dispiace davvero, di questo documentario diventato film, è che non sapremo mai quale sia il segreto per essere felici, perché poi il dentista ha iniziato a ravanare nella bocca di Gipi.

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