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I “Tempi eccitanti” di Naoise Dolan

La copertina dell’edizione italiana mi ha catturata subito, la mini-recensione di Zadie Smith sul retro («una commedia marxista e femminista») mi ha convinta del tutto. Così ho scritto sull’autocertificazione «visita alla Libreria Centofiori» e sono andata ad acquistare la mia copia.

In Italia grazie a Atlantide Edizioni e alla traduzione di Claudia Durastanti, Tempi eccitanti è il primo best-seller dell’irlandese Naoise Dolan. È, in brevissimo, la storia di Ava, dublinese trapiantata a Hong Kong, e del suo rapporto con il banchiere Julian ed Edith. Ma è molto, molto di più: in questo libro entrano in gioco – e lo dirigono, questo gioco – potenti la percezione della lingua, la percezione del proprio status e, soprattutto, la continua percezione di se stessi.

Una giovane donna irlandese che scrive di rapporti tormentati? Ça va sans dire, Dolan è stata subito paragonata a Sally Rooney, il cui Normal People è diventato anche una serie amatissima. E, in effetti, Dolan e Rooney si conoscono personalmente: è stata la seconda a far pubblicare la prima su The Stinging Fly, una rivista irlandese per narrativa e poesia d’esordio che Sally ha diretto nel 2018. Ma, chiarisce in ogni intervista Naoise Dolan, paragonare due amiche tra loro nella loro scrittura non è solo fuorviante, è assolutamente innecessario.

Una scrittrice a cui Dolan si sente molto più vicina viene invece dall’altra parte del mondo: è Sayaka Murata, l’autrice di Convenience Store Woman. In effetti, con Murata ha molti elementi in comune: la centralità dell’aspetto economico e delle ricadute sulla vita personale e sociale, l’alienazione che comporta l’adesione a un sistema capitalista, il consumismo sfrenato che abbraccia indistintamente Occidente e Oriente, la difficoltà a empatizzare con gli altri, l’impossibilità di accettare l’autoriduzione a un mero ingranaggio che cozza con il bisogno di essere produttivi.

Un altro punto è essenziale, in Naoise Dolan, prima di potersi immergere davvero nella lettura e nell’analisi di questo romanzo. Naoise è autistica: non so in quale punto dello spettro si collochi, ma senza dubbio spiega in parte i solipsismi a cui tende la sua Ava e l’esperienza (intesa anche come modo di sperimentare il mondo, non solo come conoscenza acquisita) della Dolan come donna in una società capitalista, aggravata dal fatto che «il patriarcato rende le donne disabili più vulnerabili degli uomini disabili» e traslata poi in Tempi eccitanti. La fuga di Ava dalle responsabilità, la sua determinazione a sottrarsi alle richieste imperanti della società rientrano allora in un orizzonte più ampio, in cui non si tratta solo di volontà ma anche di effettiva impossibilità costitutiva.

Naoise Dolan, a partire da uno scatto di Maria Bianchi

Di cosa parla Tempi eccitanti

Ambientato a Hong Kong, la città alienante per definizione dove anche Naoise Dolan ha vissuto, Tempi eccitanti è la storia dell’irlandese Ava, che insegna inglese in una scuola per bambini facoltosi. È come in fuga da Dublino, da cui si è allontanata con un biglietto di sola andata e il denaro sufficiente per una stanza in un appartamento condiviso, che potrà permettersi per pochi mesi. Ava non ha un piano, ha soli ventidue anni e una sorta di disinteresse per ciò che le sta attorno («Non conosce tutti i miei posti preferiti a Hong Kong» ha detto Naoise a Rivista Studio «ma questo è coerente con il suo personaggio»), ma manifesta continuamente un’incredibile e quasi morbosa attenzione verso se stessa e chi la circonda. Un atteggiamento verso la propria protagonista che mi ricorda molto di più quello di Livia Franchini in Gusci che quello di Sally Rooney – o, al massimo, può farci pensare a Frances di Parlarne tra amici, l’altro best-seller della Rooney.

Nella prima parte del suo romanzo, Ava concentra le proprie attenzioni e le proprie energie su Julian, un giovane banchiere inglese con cui inizia una relazione e che la invita a trasferirsi da lui. Julian è ricco, acculturato, guadagna bene, apre le porte di casa e le proprie carte di credito ad Ava, le fa conoscere il lusso spensierato di chi non deve contare i soldi già a metà mese, la porta alle feste dei propri amici, colleghi e conoscenti, la maggior parte degli UK bene, che guardano con diffidenza, con sprezzo o con curiosità questa giovane irlandese, periferica e repubblicana, che fa un lavoro assolutamente trascurabile e che non porta nessun valore (economico).

Ava (e Naoise con lei) non ne fa un mistero: è certa che sia una relazione a senso unico, in cui lei cerca validazione e lui cerca compagnia. Ed è in questa prima parte che Naoise Dolan dimostra tutta la propria abilità: l’attenzione maniacale alle parole, alla composizione della frase, ai suoni stessi da parte di Ava è superba, ma non si ferma qui. Riproduce il funzionamento della mente di una ventiduenne (Ava usa le note dell’iPhone per preparare i suoi discorsi via messaggio, io uso Google Keep – in genere però finisco con l’inviarli tutti), della logica tutta tipica di una giovane donna che condivide la mia (la nostra?) generazione, violentemente trasportata nel carteggio istantaneo, che ha le proprie regole di cavalleria e bon ton proprio come un corteggiamento di altri tempi (sì, se vuoi pensare alle frecciatine di Lizzy a Darcy lo puoi fare, è esattamente quello a cui mi riferisco). Quello che provano Ava e Julian è anche un piacere linguistico, il gusto di avere la risposta pronta, la lussuria della sagacia detta al momento giusto con il tono giusto.
Ava ce la può mettere tutta, ma se anche tu come me sei ormai verso i trenta, il punto di Julian lo capisci completamente: non esporsi, non sbottonarsi, non drammatizzare ogni cosa. Ma se anche tu come me sei stat* una Ava, capisci anche di cosa abbia bisogno lei, di cosa si aspetti, di cosa senta che si meriti.

Nella seconda parte, fa il suo ingresso Edith, nome occidentale di Mei Ling Zhang, corporate lawyer originaria di Hong Kong, come Julian benestante e raffinata, distante e collected. E Ava cade subito succube del suo fascino, la desidera ma in un modo diverso da come desidera Julian. A un certo punto lo ammette apertamente: «volevo la sua vita». Ed è questo che sancisce la definitiva distanza tra me, lettrice, e Ava, personaggio: il modo in cui conduce e condivide con noi la relazione con Edith, la decisione ultima che prende, suonano artificiali, costruite più per mentire a se stessa che per convincere noi. Ama davvero Edith, più di quanto ami – se lo ama – Julian, o ama quello che Edith è e che Ava non sarà mai? E l’unico modo per avvicinarsi a questa perfezione agognata, ritiene Ava, è possederla, anche tra le lenzuola.

L’Irlanda, la lingua e l’aborto

Per me, però, la parte più interessante e affascinante di Tempi eccitanti non ha nulla a che fare con le relazioni amorose, che anzi sono passate quasi in secondo piano per me durante la lettura. È il rapporto con l’Irlanda, un’Irlanda che non traspare davvero dalla scrittura di Rooney, un’Irlanda che non è quella che sentiamo nei notiziari dove è difficile abitare a causa di Airbnb e dove si è installata Google, dove vogliono spostarsi le grandi multinazionali ora che gli UK abbandonano l’Europa.

È un’Irlanda terribilmente simile all’Italia: entrambe cattoliche, entrambe propugnatrici del senso di colpa nel sesso, entrambe poco o per nulla interessate alla causa femminile. Emergono qua e là, come piccole pugnalate nel fianco, i fantasmi irlandesi che inseguono Ava anche dall’altra parte del mondo, che il fuso orario non confonde e che sono sempre pronti all’attacco: mentre è a letto con Julian, mentre non pensa ad avere una relazione stabile e canonica, mentre pensa che il sesso con una donna almeno non rischierebbe di lasciarla con una gravidanza.

Scopriamo infatti che i soldi che hanno permesso ad Ava di pagarsi il biglietto per Hong Kong sono quelli che aveva messo da parte negli anni e a cui aveva dato un obiettivo: in caso di aborto. Perché da brava donna irlandese (si sentono i denti stretti mentre lo digito?) sa che deve permettersi una via di fuga, e che questa passa solo attraverso una clinica negli UK.

Ma, ancora di più, emerge il terribile rapporto di forze con il Regno Unito a partire dalla lingua stessa in cui Ava pensa, scrive, parla e che a sua volta insegna. E che la dovrebbe far sentire colonizzata allo stesso modo in cui lo si sente Edith nella sua inglesissima Hong Kong.

Quella volta in cui con Edith stavamo parlando di numeri, le avevo detto che noi irlandesi facevamo delle cose abbastanza strane, che “due” poteva essere “dhá” o “a dó” o “beirt”, ma che non ero sicura se questo fosse legato ai quantificatori o a qualcos’altro. Non ce lo spiegavano a scuola.

Naoise Dolan, Tempi eccitanti

L’amarezza di Ava che corregge i suoi piccoli studenti nelle loro pronunce errate, nelle costruzioni bizzarre, negli errori di spelling ci arriva dritta in faccia mentre sfogliamo le pagine; l’ironia caustica di doversi piegare a tramandare una lingua che ha appiattito la sua Nazione e di doverlo fare con rigore lascia bruciature anche in noi che leggiamo.

Sotto questo gioco di forze ricadono anche i rapporti tra Ava, Julian e gli amici di lui: supremazia linguistica, prima ancora che economica, che si tramuta in potere culturale, oppressivo e patriarcale:

Mi chiedevo quali altre frasi mi avesse estirpato. Mi sentivo come un volatile da cui ricavare le piume per imbottire qualcosa […]. Gli piaceva l’inglese irlandese perché sapeva che le parole più interessanti erano quelle che non avrebbe mai usato.

Naoise Dolan, Tempi eccitanti

Forse la vittoria che vuole avere Ava su Julian, nelle loro schermaglie a parole, così frequenti, vivaci e gustose, è anche quello di una persona che s’impossessa di una lingua imposta e la vive così tanto dal di dentro da saperla maneggiare come propria e riuscire, con raffinata abilità, a ferire con esattezza il vecchio padrone, che giace così riverso e sanguinante sulla sua poltrona in pelle di design, con la pergamena di laurea con la ceralacca* di Oxford stretta in pugno, inutile e vetusto scudo che non vale niente nella vita vera.


Fonti:
Naoise Dolan, Tempi eccitanti, Edizioni Atlantide
Naoise Dolan: la fatica di essere giovani | Rivista Studio
Ways of Writing: Naoise Dolan | Port Magazin
In ‘Exciting Times,’ Echoes of Sally Rooney, but With a Queer Twist | The New York Times

*NdA: non ho la minima idea se Oxford chiuda le pergamene di laurea con la ceralacca.

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